Caffè & brioche

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Hanno sentito Luca Campedelli, il presidente del Chievo, fischiettare il mozartiano “Così fan tutti”. Era sovrapensiero, aveva letto che la sua società sarebbe nell’occhio del ciclone per aver valutato un po’ di ragazzotti sconosciuti ai più, come pietre preziose del calcio mondiale. L’accusa: così si baruccano i bilanci, così si fa vedere che i conti sono a posto quando invece ci sono buchi e debiti. Boh, chissà cosa avranno fatto veramente dalle parti della Diga. Ma intanto Campedelli smetteva di fischiettare e ricordava quel passo evangelico su chi abbia diritto, nel calcio italiano e non solo, a scagliare la prima pietra…

Poche parole, ma chiare. La Transpolesana, soprattutto nel suo tratto in prossimità di San Giovanni Lupatoto, non è pericolosa, non è totalmente rovinata, non è un biglietto da visita infangato per la nostra città. È da chiudere, così com’è. E da riaprire al traffico quando, da tratturo molisano per il passaggio delle greggi, sarà ritornata ad essere una superstrada quasi normale. Punto.

Un quotidiano locale in un richiamo di prima pagina segnalava che in un grosso centro della Pianura Padana c'è un Grest in cui 70 bambine imparano a ricamare avendo come maestre signore dai 70 ai 92 anni. Quarant'anni fa una notizia del genere non avrebbe trovato spazio nemmmeno tra le brevi della provincia, altro che in prima pagina! Eppure... Mi è venuto subito da chiedermi quante persone dai 20 ai 40 anni - che non lo facciano di professione - siano oggi in grado non dico di ricamare, ma almeno di rammendare un paio di calzini, cambiare una cerniera, realizzare un orlo, fare un'asola, cambiare il collo di una camicia e persino... attaccare un bottone. Sicuramente non è corretto il detto "val più la pratica della grammatica", ma di sicuro la prima è molto utile e fa risparmiare.

Dice il Cestim, il Centro studi immigrazione – osservatorio che ha sede proprio a Verona – che l'invasione non c'è. Attualmente sono 2.343 i richiedenti protezione internazionale ospiti nei Cas (i Centri di accoglienza straordinaria) della nostra provincia. Accolti lì legittimamente, per volontà della Prefettura, che a sua volta risponde al Ministero dell'Interno. Nemmeno nei periodi più caldi hanno mai superato quota 3 ogni mille abitanti. Il loro impatto reale, dice il Cestim, è pressoché ininfluente: anzi, basterebbe che ogni Comune se ne prendesse in carico cinque-sei per risolvere in modo indolore la questione dell'accoglienza, in attesa che la commissione territoriale valuti le richieste di protezione. Invece no: solo due su 98 (Verona e Bosco Chiesanuova) hanno attivato lo Sprar, il sistema di protezione ordinario. Così, alla fine, il quadro locale rispecchia quello nazionale: si resta imbrigliati nell'emergenza, a discapito della strategia e di una programmazione ragionata. La politica s'indigna, invoca la chiusura di porte e porti, rimprovera l'assenza dell'Europa (oggettiva: ma che cambiamenti si possono ottenere limitandosi ai post sui social network?), foraggia polemiche e cerca applausi, in una perenne campagna elettorale.

Si chiama Daspo urbano, sta per: fuori dai luoghi pubblici i molestatori, quelle persone che recano disdoro in determinati posti. Duecento metri più in là, devono stare. E se trasgrediscono, fuori dalla città. Attenzione, si rischia un esodo di massa verso Negrar e San Giovanni Lupatoto se il concetto di molestatore si amplierà a tutti coloro che rompono le scatole, parlano al cellulare come se fosse un megafono, usano scooter con scarichi rumorosissimi, parcheggiano in doppia fila, protestano per ogni minima cosa, e chi più ne ha… Città tranquillissima, quasi deserta se pensiamo al numero di molestatori che ognuno di noi si porta appresso. Noi compresi, per qualcun altro.

L'altro giorno nel primo pomeriggio recandomi a piedi verso la stazione di una città del Veneto, ho osservato davanti ad un pet shop (un negozio di prodotti per animali) chiuso per la pausa pranzo, oltre alla solita ciotola colma d'acqua, anche altri due contenitori con diversi tipi di croccantini per i nostri piccoli amici a quattrozampe. Davvero una simpatica e lodevole iniziativa. Mi chiedevo peraltro se saremmo disposti a migliore attenzione nei confronti di una persona bisognosa. Magari un caffè, una colazione o un gelato da offrire al bar (o lasciato sospeso, come usano a Napoli). Perché va bene essere pet friendly, ma soprattutto occorrerebbe essere human friendly.

Iniziano i Mondiali, finalmente! Era da tanto tempo che li attendevamo! L’Italia farà un figurone, ha ampie possibilità di vittoria. Presenta una squadra eccezionale e ha un girone eliminatorio assai facile. Per il tabellone, non dovrebbe trovare grandi ostacoli fino alla finale, poi si vedrà. Ma il sogno c’è tutto: Italia campione del mondo di Scala quaranta!

O Corsi o morte!, dissero i garibaldini leghisti al sindaco Sboarina che non stravede all’idea di avere l’illustre esponente del Carroccio scaligero come suo vice. Le ragioni di questa diffidenza sono tante e non le sindachiamo. Così come comprendiamo il fatto che i partiti che compongono la maggioranza che governa questa città, abbiano tutto il diritto di far sentire la loro voce. L’unica cosa che ci lascia un po’ perplessi è l’atteggiamento di Enrico Corsi: ma se sai che le cose stanno così, non ti senti un po’ in imbarazzo ad importi – anzi, a farti imporre – al fianco di chi non ti vuole? Vi immaginate che allegria nella successiva riunione di Giunta?

Il card. Gianfranco Ravasi, invece che occuparsi di verniciatura delle strisce pedonali, ha twittato le parole dette da un certo Gesù di Nazareth alcuni anni fa: “Ero straniero e non mi avete accolto”. Il pericoloso sovversivo non è più presente su questa Terra, ma certe cose dette o fatte sembrano ancora di attualità. Eppure queste parole sono state sommerse dall’odio di molti frequentatori della Rete che, invece di occuparsi della verniciatura delle strisce pedonali, hanno diverso tempo a disposizione per vomitare molte care cose nei confronti di Ravasi, della Chiesa, del Vaticano e di quel tale Gesù. Per fortuna già lo sappiamo: non praevalebunt.

Quante ore passa un ragazzino davanti al suo smartphone? Una domanda che suona come il: quante ore passa un ragazzino davanti alla televisione? che si faceva qualche anno fa. È cambiato lo schermo – più piccolo – e la fruizione: più attiva. Le generazioni che si sono rincretinite davanti alla televisione, in fondo stavano passivamente lì, sul divano, immerse in cartoni animati e telefilm demenziali. Ora si rincretiniscono in altro modo. Un progresso c’è sempre, in questa vita.