Caffè & brioche

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Il Chievo Verona non se la passa bene, ultimamente. Non vince dall’epoca di Cicerone e avrebbe bisogno di punticini per evitare di finire in quella B dove avrebbe ottime possibilità di ritrovare l’Hellas. Insomma, per la Verona gialloblù un disastro. Così il suo presidente, Luca Campedelli, “ci ha messo la faccia”, come si dice in orrendo gergo giornalistico. Ha detto: «Ci eravamo abituati troppo bene, non facciamoci prendere dallo scoramento. Perché va male? Ci siamo seduti e l’ho fatto io per primo». Il problema non è che Campedelli l’abbia fatto per primo. Ma che tutti i giocatori lo facciano regolarmente soprattutto dal 70° in poi, quando età media e preparazione atletica rivedibile sconsigliano una sana attività fisica qual è quella pedatoria. E infatti…

Ritorna l’utilissimo e interessantissimo Mobility Day, quell’iniziativa che preserva dal traffico una zona già di suo a traffico limitato, per intasare di automezzi e scarichi il resto della città. La minaccia è quella di estendere l’inutile limitazione pure a Comuni limitrofi alla città, perché è giusto che non siano solo i cittadini veronesi a pagare il conto. L’iniziativa è puramente simbolica (un giorno senza auto qui sì e là no), non serve a nulla ma si replicherà, salvo il fatto che “serve una pianificazione”, ha detto l’assessore alla viabilità Luca Zanotto. Se pianificando trovano pure un senso, meglio. Poi, ci aspetta il Vinitaly Day, quel bel periodo che Verona Sud sopporta in termini di code, traffico, inquinamento, mancanza di parcheggi. Oddio, non che gli altri giorni…

Chiunque sia transitato sopra il ponte sull’Adige tra Rivalta e Peri, sa che si prova un brivido: quello di giungere dall’altra parte sani e salvi. Perché il manufatto, che ha “solo” 75 anni, si presenta da molto tempo in condizioni – per così dire – precarie. Dà sempre l’impressione di stare su con lo scotch. In teoria non ci vorrebbe un’era geologica per rifarne un altro. È l’unico ponte transitabile da Avio alla Sega di Cavaion. Non si chiede un novello Brooklyn, ma almeno una robetta sicura e ben fatta. Le ultime notizie – riportate dal quotidiano L’Arena – dicono che ci sono speranze (sempre le ultime a morire) che sia realizzato uno nuovo entro quattro anni. Poi, nell’articolo a fianco, si parla dell’idea di un ponte tibetano (sapete, quelli di corda e poco altro che ti fanno attraversare qualche burrone, e perdere un paio d’anni di vita per lo spavento) appunto sull’Adige, dalle parti di Rivoli. Attenzione ad accostare due notizie così. Che poi va a finire che di ponte nuovo ne fanno uno solo. Tibetano. E vederci passare sopra i trattori sarà tutta da ridere.

Dieci righe in cronaca. Di cosa si tratta? Di un camionista ucraino, si è sentito male alla Bassona ed è morto. Bah, mettiamole di taglio basso. Giusto. Nemmeno il nome per salutare per sempre un quarantenne proveniente da un Paese lontano lontano, che si trovava in un piazzale della Bassona con il suo automezzo e si è sentito male. Una fitta al petto, il disperato tentativo di alcuni autisti che erano lì posteggiati di prestargli soccorso, l’arrivo dell’ambulanza per strapparlo dalla morte e pure di una volante della polizia per portare prima possibile una strumentazione salva-vita. Non ce l’hanno fatta, se ne è andato a tremila chilometri da casa, da solo, in un parcheggio, lontano dagli affetti, per finire in dieci righe di cronaca di qualche giornale locale. 

Ma il surriscaldamento globale??? Ma la desertificazione di Badia Calavena??? A un centimetro dalla primavera fa ancora un freddo cane, il termosifone – ahinoi – rimane acceso e gli unici contenti di un marzo in cui o piove o fa peggio sono Vladimir Putin che ci vende il gas e l’Agsm. Qui rischiamo di rivedere i mammut, altro che palme da dattero al Branchetto! E la primavera deve fare la primavera, o che la paghiamo a fare? Ci sono i mercatini all’aperto, i vivai che scalpitano, le sagre incombenti, le biciclettate sul nastro di partenza, le piante che non sanno più se far spuntare le gemme o far cadere le foglie che non hanno. Quindi basta così: l’extracomunitario burian se ne torni a casa sua che non lo vogliamo, ci servono 13 gradi per mettere la pianta di limone in terrazza. Ha aspettato troppo lei, abbiamo aspettato troppo noi.

A scuola, volano botte e magari pure coltellate ai professori se s’inimicano qualche studentello più dedito alla violenza che allo studio. In autobus, non chiedere il biglietto al gruppetto di minorenni che poi ti picchiano come un maggiorenne. Allo stadio, non ne parliamo. Per strada, se tamponi l’auto sbagliata rischi di essere “salutato” dalle mazzate. Sui treni locali e nelle stazioni, da una certa ora in poi è far west. Di notte, quando certa ragazzaglia non sa come passare l’ora, si sfregiano fiancate e si rompono vetri di auto. Se la noia è troppa, meglio l’adrenalina prodotta da pietre gettate dal cavalcavia. La chiamano paura percepita. Non saremo tra le favelas brasiliane, la soluzione non può essere il trumpiano “portatevi un cannone in tasca”; ma qualcosa che non va, c’è e non è solo percepito.

Qualcuno si offese molto, quando Gianni Agnelli apostrofò la nostra come una Repubblica delle banane. È vero: banane qui non se ne producono. Allora sarebbe meglio dire: la Repubblica dei cavolfiori, pensando al fatto che, a dieci giorni dalle elezioni, 10 seggi alla Camera e 7 al Senato devono ancora essere assegnati. E finché non lo sono, il Parlamento non potrà partire. Oddio, anche se parte in ritardo, non si farà gran danno. Ma che pure per assegnare le poltrone più alte d'Italia occorrano i tempi biblici che noi cittadini conosciamo bene per ogni nostra pratica burocratica... Ecco: togliamo pure i fiori. È una Repubblica del cavolo.

La tendenza è chiara: se la strada è un groviera di buche, non si aggiustano i crateri. Si abbassa la velocità delle auto. Geniale. Se vai piano, è più facile che, caduto dentro un cratere, i danni riportati siano inferiori alla distruzione dell'automezzo. Anche Verona sta affrontando – come ogni primavera – il fenomeno della Paris-Dakar trasferita sulle nostre strade. E guarda con attenzione alla genialità di altre amministrazioni comunali, come quella capitolina. A Roma hanno abbassato ai 30 all'ora la velocità massima sul Grande raccordo anulare. Che sarebbe una superstrada ma è talmente intasata che i 30 si fanno solo alle due di notte. Quindi... E se la strada sembra uscita da un bombardamento americano in Vietnam? Si chiude al traffico. A sistemare le cose sono bravi tutti: è nel non fare nulla che ci vuole fantasia e creatività. Facendo lezione dell'insegnamento dei nostri vecchi: se è peggio il tacòn del buso, lasciamo il buso.

Siamo andati dal medico per curare l'insonnia: non riusciamo a dormire al pensiero dei probiviri – o era la commissione di garanzia? – del Pd che dovevano (dovrebbero, dovranno) dire l'ultima parola sulla querelle tra Valeria Pernice e Claudio Marconi, per la poltrona di segretario provinciale. Dove sono finiti i probiviri? Che fine hanno fatto i commissari? E chi sta allora alla guida del bus? No, mi dicono che è tutto fermo, nessun rischio d'incidenti. Si riprenderà con le scontro tra gli anti-renziani e i "Renzi chi?", coloro cioè che fino a ieri parlavano con inflessione fiorentina e ora sostengono che Renzi è il plurale di Renzo. Insomma dibattito appassionante, esito thrilling, sonno perduto per l'ansia divorante. Il medico ha consigliato di vedere la replica di Hellas-Chievo senza tifare per nessuna delle due squadre: letargo assicurato.