Caffè & brioche

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Ci sono cose, a Verona, che arrivano con una periodicità classica e allo stesso tempo sorprendente: la primavera, la fioritura degli alberi, l’Adige che si ingrossa, la dichiarazione che il casello autostradale di Verona Sud sarà spostato… Sono cose che si affiancano ad altre che da molto tempo si sono depositate tra la polvere degli arcovoli dell’Arena: la sistemazione dell’Arsenale, il filobus o filotranvia, le bretelle stradali che aggirino la città, il nuovo stadio… Gli è che Verona è una città conservatrice: detesta i cambiamenti, preferisce modificarsi a forza di dichiarazioni. Che poi sono sempre le stesse e quindi si conferma la mentalità di non cambiare nulla che si sta tanto bene così. O no?

A domani saranno passati due mesi dalle elezioni politiche del 4 marzo. Due mesi che le “forze politiche” si baloccano per trovare una maggioranza parlamentare. Siccome un governo funzionante comunque c’è, potrebbero baloccarsi per altri mesi senza gravi danni, se non fosse che quelle elezioni hanno portato a Roma 950 parlamentari che… non hanno niente da fare. Se non si parte, pure i lavori parlamentari se ne stanno fermi lì. E con loro, deputati e senatori. Nessuna proposta di legge, nessun recupero di quelle che la fine della scorsa legislatura ha mandato in soffitta, nessuna discussione sui massimi o i minimi sistemi. Lobbisti che ne stanno desolatamente inchiodati davanti a porte chiuse, in attesa di qualcuno da convincere o manovrare. Il Parlamento trasformato in un ministero romano: tanti assunti, nessuno che lavora. Ce la faranno i nostri eroi…

Addio signor Gaetano. Non so se ci rivedremo più, perché non so se riuscirò a finire lassù dove lei ora sicuramente sta. Ne sono certo. Una persona così non l’ho mai conosciuta – siete fatti di pasta speciale, e rara – tanto che il suo nome era diventato paradigmatico: “alla Gaetano”, insomma uno tutto d’un pezzo, onesto fino al midollo. Dispiace non averla potuta salutare un’ultima volta, dopo i fugaci auguri di Natale. Lo faccio qui anche a nome e per conto di chi l’ha conosciuta e le ha voluto bene in tutti questi anni. Ogni tanto, guardi in basso, direzione Verona Fedele, distogliendo lo sguardo dalla sua amatissima Pozzolengo.

Dai, facciamo i maghi che leggono la sfera di cristallo. Chiusa la strada ad un governo M5S-Lega (programmi simili, ma chi comandava chi?) e ad un esecutivo M5S-Pd (programmi opposti e numeri ridottissimi), scommettiamo che Mattarella chiederà al centrodestra di individuare un candidato non leghista, che trovi l’astensione del Pd ad aprirgli la strada del governo? Un tecnico “d’area” o un forzitalista alla presidenza del Consiglio, molti ministri leghisti e qualche ministro gradito al Pd, e la quadra – come diceva il Bossi – è trovata. Grillini all’opposizione, Di Maio affondato. Se la magia non riesce, si ritorna tutti al voto e l’interregno di Gentiloni durerà altri mesi, mentre le “forze politiche” si baloccheranno in una campagna elettorale che in Italia sta durando dal settembre 2016, quando iniziò quella referendaria.

Ha tenuto banco in questi giorni in città la polemica (molto più mediatica e politica che di reale portata) sulla partecipazione prima annunciata, poi smentita dalla diretta interessata e infine riconfermata, del mezzosoprano georgiano Anita Rachvelishvili al festival lirico in Arena. Dapprima data per certa la sua presenza per due recite di Aida ad interpetare Amneris (5 e 7 agosto) e per altrettante in Carmen (9 e 12 agosto) nei panni della protagonista, dopo la smentita della cantante è stato decisivo l'incontro con il sovrintendente e direttore artistico Cecilia Gasdia a Vienna: la dolce Anita verrà a Verona per le ultime due rappresentazioni dell'opera verdiana, il 29 agosto e il 1° settembre. Insomma, dulcis in fundo, 2-2 e palla al centro. E, speriamo, fine delle polemiche. D'altronde, di tutto la città avrebbe avuto bisogno, tranne che di un nuovo "caso Cassano" in chiave di violino.

Niente consiglio comunale questa settimana, così come la scorsa settimana: non ci sono delibere da discutere, che si va a fare in consiglio? L’unica è quella che darebbe la cittadinanza onoraria a Preben Larsen Elkjaer per indiscutibili quanto lontani meriti calcistici, ma far partire tutto l’ambaradan per una sciocchezza simile non è parso il caso. Ciò può significare tre cose: la città va perfettamente e non c’è nulla da decidere in merito; i “lavori in corso” vanno un po’ a rilento e non sono ancora pronti per la discussione consiliare; o infine quest’amministrazione comunale non sa quali pesci pigliare. Le minoranze consiliari si lamentano: solo noi presentiamo delibere da discutere, Sboarina e compagnia che fanno? Dipende: se sono bravi, non far niente è un male; se sono scarsi, non far niente ha i suoi vantaggi. A loro la risposta.

Il 25 aprile è il giorno della Liberazione, ed è da 73 anni un giorno di festa. Ma è anche san Marco, e nel Veneto orientale (nel Veneto, insomma) san Marco è un santo importante: gareggia con sant’Antonio quanto a popolarità; vince di larga misura a Venezia. Insomma, 25 aprile e 13 giugno. Si fa festa all’aperto, si mangiano la frittata con le erbe o la cipolla e gli asparagi bianchi, si sacrifica un salame di quelli giusti; il top sarebbero le sarde in saor preparate tre giorni prima, che questo è il momento giusto dell’anno. Vino fresco perché, se Giove pluvio si distrae, è anche un bel giorno di piena primavera. La festa allora è doppia: liberi e felici. E a nessuno sarebbe venuto in mente di passarlo a fare la spesa al supermercato, nei miei san Marco della fanciullezza.

Passeggiando a piedi, in bici o anche a bordo di un’auto per le campagne veronesi, ti accorgi della bellezza della primavera: i meli in fiore dopo che i pescheti avevano tinto di rosa il paesaggio, il bianco dei ciliegi, le serre operose da dove stanno arrivando asparagi e fragole, le semine estive… E ti spaventi: ma chi riuscirà a far fronte ad una simile mole di lavoro? Chi si aggirerà tra i vigneti che si stanno arricchendo di foglie e le distese oggi vuote ma che a fine estate regaleranno tonnellate di mais? Poi acquisti il quotidiano locale, guardi la prima pagina, leggi “Salvini: «Scendo in campo io»” e ti tranquillizzi.

È da almeno un paio di anni che tutti ma proprio tutti gli addetti ai lavori avvisano: attenti, verranno a mancare i medici di base, quelli “di famiglia”. Molti stanno andando in pensione (prima possibile, contrariamente ai decenni scorsi: sono stufi agri, più indaffarati col computer che con lo stetoscopio) e i ricambi sono pochi perché l’accesso è strozzato e difficoltoso. Decine di migliaia di veronesi rischiano di trovarsi senza ambulatorio di riferimento; e ti puoi anche curare con le erbe e con internet, ma i certificati per malattia qualcuno dovrà pur farli. Si rimedierà all’italiana. Ambulatori chiusi, aumento dei mutuati per medico a livello stratosferico, visite contingentate a tre minuti l’una o fatte telefonicamente, tanto arrangiarsi. E di allargare la strozzatura no, eh?

È stato il solito, surreale Vinitaly, ormai una specie di Circo Medrano dove vedere nani e ballerine di ogni tipo tra uno stand e un altro. Abbiamo visto Luca Zaia infornare pizze, il veneziano Renato Brunetta presentare i suoi vini laziali, calciatori vari che ora vanno in gol tra le vigne, aspiranti presidenti del Consiglio bere alzando il bicchiere ad uso e consumo delle telecamere, per far capire a tutti che è il vino che li riduce così. E poi tanto altro ancora che non ci rimarrà nella mente; mentre mai se ne andrà Alberto Malesani (tra l’altro produttore di un ottimo Valpolicella in quel di Trezzolano), la cui capigliatura attrae l’occhio più di qualsiasi Giletti e Gilette alla ricerca di un flash di notorietà.