Il Fatto di Bruno Fasani
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Preti e storie a luci rosse cosa nasconde il cuore

La cronaca ci consegna con sempre maggiore frequenza storie di preti a luci rosse. Amanti, maschili o femminili, che li ricattano, ingenuità legate a pubblicazione di immagini compromettenti, presunte amicizie coltivate sui social che si rivelano delle vere e proprie imboscate...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)

La cronaca ci consegna con sempre maggiore frequenza storie di preti a luci rosse. Amanti, maschili o femminili, che li ricattano, ingenuità legate a pubblicazione di immagini compromettenti, presunte amicizie coltivate sui social che si rivelano delle vere e proprie imboscate... Che l’informazione ci marci un po’, ciurlando il coltello nella piaga, è un dato di fatto. Così come è un dato di fatto che il peggior moralismo persiste oggi soprattutto nei media e tra i politici. Dopo anni di battaglie portate avanti per liberare i cittadini dai lacci presunti della morale cattolica, per cui tutti saremmo finalmente liberi ed emancipati, scopri poi che è da quella stessa politica e dai suoi reggicoda mediatici, che partono le condanne più corrosive contro il primo avversario beccato alla frontiera del sesto comandamento senza le carte in regola.
Sta di fatto che anche il clero sembra sempre più coinvolto in episodi incresciosi proprio su questa frontiera. Non mi unirò ai moralisti di turno pronti a scagliare la pietra. Il male c’è e non c’è bisogno di indorarlo per renderlo meno sgradevole. Per una volta vorrei invece tentare di capire cosa succede nel cuore di un prete che finisce inguaiato in queste storie. Perché è chiaro, a prescindere dall’anagrafe, che anche lui è figlio e vittima del proprio tempo. E allora penso prima di tutto ad una cultura fortemente erotizzata. Oggi per sottrarsi a questo sentire che non è legato solo alla pornografia, ma anche a programmi televisivi, che rasentano il mercato delle vacche, è richiesta una buona maturità affettiva ed una vigilanza sull’uso dei sensi degna di una guardia giurata. Si è ciò che si mangia, si diceva un tempo. Si è ciò che si guarda, viene da dire parafrasando.
Se questo è vero, non meno vera è la solitudine che abita l’affettività di un prete. Si fa presto a dire che è sempre attorniato di gente. La sua solitudine nasce piuttosto dal senso di inadeguatezza e qualche volta di fallimento, davanti ad un ministero che incontra indifferenza, rifiuto ed anche tanta palese ostilità. Penso che ci voglia un coraggio profetico a gestire un simile impegno pastorale che spesso assomiglia alla pesca con un amo il cui galleggiante resta immobile nello specchio piatto dell’indifferenza al sacro e al cattolico in particolare.
Non fraintendete, cari lettori. Non sto giustificando. Semplicemente cerco di indossare occhiali per vedere oltre e non trovarmi dalla parte del fariseo che si bea della propria integrità a differenza del pubblicano che mette a nudo la miseria della sua umanità.
Trovo infine che anche su questa solitudine del prete, e non soltanto nella carenza di clero in terra di missione, si innesti il dibattito nella Chiesa sull’opportunità di ordinare preti uomini sposati, attualmente diaconi di specchiata moralità.
Sento già il grido indignato di chi vede in questa proposta un tradimento. Trovo invece che papa Francesco ci stia aprendo coraggiosi scenari evangelici. Quando san Paolo scrive che il vescovo deve essere sposato una sola volta, non essere dedito all’alcol, riconosciuto per come sa governare la sua famiglia, non va contro il Vangelo di Gesù e neppure mette in piedi un compromesso per risolvere un’emergenza. E allora se dopo aver letto quelle espressioni diciamo che è Parola di Dio, cui rendiamo grazie, perché mai le nostre tradizioni dovrebbero essere più vincolanti di quella Parola?

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