Condiscepoli di Agostino
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La radicale differenza esistente tra il fruire e l’usare

In molti dei suoi scritti Agostino affronta la questione della differenza radicale tra fruire e usare. Ciò significa che per lui i due termini hanno una forte valenza morale...

Parole chiave: Aforismi (46), Sant'Agostino (175)

In molti dei suoi scritti Agostino affronta la questione della differenza radicale tra fruire e usare. Ciò significa che per lui i due termini hanno una forte valenza morale. Partiamo da un testo de La città di Dio, nel primo dei quattro libri dedicati a chiarire l’origine metafisica, cioè della stessa realtà, delle due città, quella terrena e quella di Dio.
Formidabile conoscitore della terminologia, grazie anche alla sua straordinaria conoscenza linguistica in quanto docente di retorica, precisa il fatto che fruire ha la stessa matrice culturale di frutto: “Non ignoro che frutto è di chi sa fruire, cioè godere” (De civitate Dei 11,25).
Concretamente, fruire significa raccogliere un frutto, per gustarlo, assaporarlo e nutrirsene, senza con ciò distruggere la pianta che lo produce. L’uso invece evoca il senso dello strumento: si usa delle cose che, una volta usate, finiscono la loro funzione: “Sembra che ci sia questa differenza: si dice di fruire di quella cosa che diletta in se stessa, senza alcun altro riferimento, mentre usare si riferisce a quella cosa che cerchiamo per qualche altro scopo” (Ivi).
Esemplificando per noi, potremmo dire che usiamo una macchina per muoverci, il computer, un vestito, il denaro; mentre fruiamo, cioè godiamo per il beneficio che ci arreca, dell’amicizia, dell’amore, della verità. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Il concetto di fondo però è chiaro in sé. I due termini non sono interscambiabili.
Ecco lo sviluppo del pensiero di Agostino: “Di conseguenza, si deve usare delle cose temporali più che fruirne, per meritare di fruire delle cose eterne” (Ivi). A questo punto Agostino mette in chiaro il pericolo di scambiare i due termini, che sottendono due atteggiamenti: “Non come fanno i perversi, i quali vogliono fruire del denaro (facendone un bene assoluto) e usare Dio, poiché non spendono il denaro per Dio, donandolo ai poveri, ma venerano Dio per il denaro” (Ivi).
Si sente, in sottofondo, l’accusa rivolta da Agostino ai pagani, che venerano le divinità per ottenere benefici materiali, e non per pura fede. In conclusione, ci è dato di scorgere nell’applicazione corretta o degenerata dei due termini, fruire e usare, il substrato culturale delle due città: chi usa dei valori spirituali, in primo luogo Dio, invece di fruirne, fa parte della città terrena. Chi invece fruisce dei valori spirituali e usa correttamente delle cose di questo mondo, in funzione della fruizione dei beni spirituali, appartiene alla città di Dio!
† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona

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