Condiscepoli di Agostino
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Dal Commento al Vangelo di Giovanni

Dopo aver preso in considerazione gli aforismi di Agostino estratti dalla triade importante: le Confessioni, la Città di Dio, la Trinità, ci soffermeremo sugli aforismi contenuti nel trattato sul Vangelo e sulla Prima Lettera di Giovanni...

Parole chiave: Aforismi (46), Sant'Agostino (175), Mons. Giuseppe Zenti (311)
Dal Commento al Vangelo di Giovanni

Dopo aver preso in considerazione gli aforismi di Agostino estratti dalla triade importante: le Confessioni, la Città di Dio, la Trinità, ci soffermeremo sugli aforismi contenuti nel trattato sul Vangelo e sulla Prima Lettera di Giovanni. Prima però di analizzare aforisma per aforisma, ritengo opportuno tracciare un profilo della sua opera. Anzitutto, perché l’ha scritta? Già aver detto “l’ha scritta” non è corretto. Di fatto, Agostino ha commentato a viva voce il Vangelo e la Prima Lettera di Giovanni alla sua gente di Ippona. Come era abitudine, era presente un tachigrafo che passava poi il testo al Vescovo, il quale lo confermava o lo appuntava prima che fosse pubblicabile. Il vero motivo dunque di tale predicazione? Agostino era abituato a predicare, pari suo, due o tre volte alla settimana. E la gente accorreva. Purtroppo, dai tempi del Concilio di Cartagine del 411, convocato per risolvere la questione dei donatisti, per qualche anno fu costretto a ridurre assai la sua predicazione in diocesi. Anche perché nel frattempo veniva chiamato a predicare ovunque, specialmente a Cartagine dall’amico vescovo Aurelio, primate dell’Africa settentrionale. Dunque i suoi fedeli, che nel frattempo subivano persecuzioni e insidie da parte dei donatisti, dei pelagiani, dei manichei e dei pagani, si sentivano trascurati. Erano in pericolo di sviamento. Se ne accorse Agostino. Gli occorreva un pronto intervento. E pensò ad un corso intensissimo di predicazione. Almeno tre volte alla settimana. Per un anno intero. Dunque una sorta di anno ignaziano per i suoi fedeli, che ne trassero un beneficio senza pari. Il suo linguaggio era davvero popolare. Intriso appunto di aforismi, cioè di frasi sintetiche, degne di un catechista. Si espresse con ben 124 sermoni sul Vangelo di Giovanni, interrotto nel tempo pasquale da dieci sermoni sulla Prima Lettera di Giovanni: un gioiello pastorale e teologico. Servendosi del criterio allegorico, appreso a Milano dal vescovo Ambrogio, ha fatto una sorta di lectio divina dei testi giovannei. Il suo metodo era quello del dialogo, più virtuale che reale, nel quale intercettava le obiezioni e le domande del pubblico. Chiedeva ai fedeli di bussare assieme a lui al testo di Giovanni, per raccogliervi le risposte. Lui però non si poneva come maestro, bensì come condiscepolo dell’unico Maestro la cui cattedra è in cielo. Davvero una bella avventura è quella di partecipare, sia pure in distillato, all’anno ignaziano regalato da Agostino ai fedeli di Ippona.

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