Condiscepoli di Agostino
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La differenza abissale tra usare e fruire

Il retore Agostino è sempre molto preciso nella selezione della terminologia. Un termine non equivale all’altro, anche nel caso di sinonimia...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo emerito di Verona (21)
La differenza abissale tra usare e fruire

Il retore Agostino è sempre molto preciso nella selezione della terminologia. Un termine non equivale all’altro, anche nel caso di sinonimia. Per esprimere, ad esempio, la differenza sostanziale e abissale tra usare (utor) e fruire (fruor) parte dall’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”. Agostino si affretta a precisare che la mente sempre conosce e comprende se stessa. Anzi, si conosce e si comprende proprio in quanto mente, nell’atto del suo conoscersi e del suo comprendersi (Cfr. De Trinitate 10,10.13). Avendo però di mira l’obiettivo di scorgere nell’uomo possibili analogie con la Trinità, attraverso delle triadi, cioè attraverso la compresenza di tre elementi capaci di evocarla, Agostino enumera una serie di triadi esistenti nell’uomo: “Tutti sanno di comprendere, di essere, di vivere” (Ivi). A questa triade aggiunge anche quelle che riguardano il volere: “Sanno di volere, di essere e di esistere” (Ivi); come pure mette in campo la memoria: “Sanno di ricordarsi e nello stesso tempo sanno che nessuno ricorderebbe se non fosse e non vivesse” (Ivi). A questo punto, confronta l’oggetto della conoscenza con l’oggetto del volere.  Oggetto della conoscenza è la molteplicità delle cose. Oggetto invece del volere è l’uso o la fruizione delle cose. Ecco il colpo di genio di Agostino: “Fruiamo di quelle cose conosciute, nelle quali la volontà, provandone diletto per quello che sono in sé, vi si riposa; usiamo invece di quelle cose che noi rapportiamo come mezzi ad un’altra cosa rispetto a ciò di cui ci è lecito fruire” (Ivi). In termini semplificati: si fruisce di ciò che reca diletto al nostro spirito, senza farne uno strumento di piacere carnale; è come raccogliere un frutto maturo, senza rovinarne la pianta. Si fa uso di ciò che è strumento e come tale va considerato. Di qui la conclusione di Agostino: “Non vi è altra vita viziosa per gli uomini e colpevole, se non quella che usa male e fruisce male” (Ivi: “male utens et male fruens”). Ecco il criterio morale dell’agire umano: fruire di ciò di cui è lecito fruire e usare di ciò che va usato. Mai viceversa. Altrove Agostino esemplifica: non si deve usare Dio e fruire della ricchezza, ma si deve fruire di Dio e usare della ricchezza. Come non si deve usare dell’amicizia e fruire della professionalità dell’amico, ma fruire dell’amicizia e, all’occorrenza usare, senza abusare, della professionalità. Non si tratta di sottigliezze linguistiche. È questione di sensibilità. In definitiva: si fruisce delle persone; si fa uso delle cose. Si fruisce cioè dei valori assoluti e si fa uso degli oggetti.

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