Lo Spirito insegna e ricorda quanto Gesù ha detto e fatto
Giovanni 14,15-16.23b-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

di Lorenza Ferrari
Con la solennità di Pentecoste arriva a compimento il tempo di Pasqua: in questa occasione si celebra l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli, come narrato nella prima lettura (At 2,1-11). Il vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo quattordicesimo del Vangelo secondo Giovanni, riporta il primo degli annunci in cui Gesù comunica ai suoi che, una volta che Lui non ci sarà più, Dio manderà loro lo Spirito Santo.
Nell’opera giovannea spesso lo Spirito è chiamato Paraclito, termine che significa “colui che sta accanto” e che, siccome al tempo è utilizzato soprattutto in ambito giudiziale, diviene anche sinonimo di “avvocato” poiché si riferisce alla persona che sta vicino ad un’altra con intento di difesa. Il ricorso alla parola Paraclito in questo contesto riesce a rendere ancora più esplicito e comprensibile il passaggio a cui sono chiamati i discepoli: quando l’Emmanuele, il Dio-con-noi, non ci sarà più, toccherà allo Spirito inviato dal Padre stare ogni giorno e per sempre accanto a ciascun credente. Grazie alla sua presenza nel mondo, quella che è stata la missione del Nazareno diviene missione dei discepoli: non essendo più presente il Maestro, la sua predicazione e la sua azione nella storia vengono portate avanti dai credenti. Ecco perché la funzione dello Spirito di insegnare e ricordare quanto Gesù ha detto e compiuto diviene fondamentale per la nascita e lo sviluppo della Chiesa.
Lo Spirito donato permette al cristiano di farsi abitare dalla parola divina consentendo la sua meditazione, la sua comprensione e anche la sua interpretazione. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola» (Gv 14,23): il Nazareno dice ai suoi che l’amore per Lui implica la capacità di custodire e di realizzare la sua volontà anche in sua assenza. In forza dell’azione dello Spirito, infatti, secondo l’evangelista Giovanni, è possibile rendere presente colui che presente non è, poiché la fede diventa amore e si esprime come amore. Giovanni nei suoi scritti fa emergere come il peccato più grande sia il non avere fede, il lasciarsi vincere dalla sfiducia, dalla convinzione che nulla ha senso e nessuno può amare un uomo in quanto essere limitato, spesso inadeguato e impotente.
Se la Pentecoste rappresenta il compimento del Pasqua, essa è anche il punto di avvio di un tempo nuovo in cui lo Spirito di Gesù si posa sui discepoli, sull’umanità. Lo Spirito scende e avvolge ogni mancanza, ogni debolezza, ogni povertà che connotano gli esseri umani per far sì che possano essere viste in maniera diversa, trasfigurata. Senza questa presenza dello Spirito non ci sarebbe stata la Chiesa, una comunità di persone differenti per lingua, cultura, esperienze ma che resta accomunata dall’essere guardata con amore da Dio e dal desiderio di rendere la volontà divina presente nella storia.
Il dono del Paraclito non è da paragonare ad un oggetto lasciato per tenere vivo il ricordo di una persona o di un avvenimento particolare come è stato per il bastone di Mosè o il mantello del profeta Elia. Lo Spirito è quella presenza che permette alla comunità dei credenti di non lasciarsi imbrigliare nelle logiche mondane e di muoversi libera mostrando fedeltà solo alla Scrittura; quella stessa Scrittura in cui il Signore ripete più volte la richiesta di fare memoria, di ricordare la sua azione a favore del popolo e degli esclusi, la sua capacità di farsi accanto, la sua parola di pace e accoglienza. La memoria che viene auspicata, però, non è quella che tralascia gli eventi spiacevoli, forieri di sofferenza o di lutti: solo ricordando quanto più possibile si può leggere la storia come tempo di salvezza in cui Dio non ha mai smesso di essere all’opera. La fede ebraico-cristiana muove dalla consapevolezza che è il Signore per primo colui che fa memoria e che si ricorda dell’alleanza che ha stretto con il popolo.
Il discorso che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli tempo addietro trova compimento nella comunità dei credenti e prosegue nella storia, anche oggi, nella certezza che lo Spirito Santo è costantemente accanto a ciascuno perché chiunque possa riuscire a vedere il volto di Gesù risorto nella realtà quotidiana.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento