Commento al Vangelo domenicale
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L’Ascensione non è fuga ma un modo nuovo di essere il Dio-con-noi

Luca 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Parole chiave: Vangelo (433)
L’Ascensione non è fuga ma un modo nuovo di essere il Dio-con-noi

Questa domenica si celebra la festa dell’Ascensione al cielo del Signore, che ricorda un momento costitutivo dell’evento pasquale. L’evangelista Luca scrive dell’ascensione in due racconti distinti: uno collocato a conclusione del suo vangelo e l’altro all’inizio degli Atti degli Apostoli. Il primo, che è quello che si legge in questa domenica, descrive la salita al cielo come l’evento finale della vita del Nazareno; il secondo, invece, fa di tale momento l’inizio della vita della Chiesa dopo che sono trascorsi quaranta giorni dalla resurrezione. Le discrepanze tra i due racconti attestano la volontà dell’evangelista di voler leggere e interpretare lo stesso evento da due prospettive differenti.
Il testo di questa domenica colloca il tempo dell’ascensione nella tarda sera di quel “primo giorno della settimana” (Lc 24,1) in cui tutto è cambiato e ha trovato un senso nuovo; è la sera del giorno in cui il sepolcro vuoto è stato scoperto, in cui il Risorto è apparso alle donne prima e ai due discepoli sulla strada verso Emmaus poi, in cui tutti i discepoli sono riuniti – sebbene chiusi e quasi nascosti – in una casa a Gerusalemme. Sembra di riuscire a vedere la concitazione e sentire il vociare degli Undici che si raccontano le esperienze della giornata e ascoltano il racconto dei due che sono tornati trafelati da Emmaus per condividere quanto hanno vissuto. È in questo momento, in cui stanno parlando del Maestro, che Lui viene in mezzo, dona la sua pace e si rivolge a loro. Le affermazioni del Nazareno recuperano i tre annunci della passione, morte e risurrezione fatti in precedenza, annunciano la missione alla cui realizzazione sono chiamati i discepoli e l’attesa dello Spirito Santo. Ciò che non era chiaro prima, ora è pronto per essere compreso alla luce di ciò che la comunità dei seguaci di Cristo ha vissuto. Come accaduto ai due viandanti affranti che si stavano allontanando da Gerusalemme, Gesù si fa accanto ai suoi e spiega il senso delle Scritture e delle parole che aveva pronunciato tempo addietro in modo che possano comprendere la conformità tra quanto è scritto e ciò che hanno vissuto e sono pronti a capire davvero.
L’ascensione in ambito biblico è solitamente narrata facendo ricorso a termini inerenti all’allontanamento, alla partenza, alla salita, al cammino, alla separazione. L’ambito semantico è quello del distacco, in cui si avverte una mancanza, un vuoto lasciato da qualcosa o da qualcuno che ora non c’è più. Luca termina il suo vangelo raccontando la separazione di Gesù dai suoi discepoli non come un abbandono, ma come un modo nuovo di essere l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Tutto ciò che i discepoli sono chiamati ad essere, a vivere e a diventare inizia, quindi, dalla salita al cielo del Nazareno, da una assenza che in realtà è solamente una distanza. Se non ci fosse stata questa separazione tra il Maestro e gli apostoli non ci sarebbe stato spazio per una nuova relazione. L’ascensione impedisce definitivamente di vedere il corpo di Gesù, di sentire fisicamente la sua vicinanza, ma tale esperienza non è preclusa in assoluto: ogni seguace del Nazareno, infatti, può tornare a sentirsi vicino a Lui tramite l’incontro e il contatto con i poveri, i sofferenti, gli esclusi. Con la forza dello Spirito ciascuno può cercare di comportarsi come ha fatto Gesù. L’attesa del ritorno definitivo del Signore e la realtà quotidiana sono tenute assieme da un legame inedito che porta a ricordare costantemente ciò che il Nazareno ha compiuto mentre era in vita.
Coloro a cui si rivolge Gesù sono detti testimoni perché sono quelli che hanno sperimentato e vissuto la misericordia che il Maestro ha insegnato e realizzato e hanno il compito di mostrarla a tutte le genti, annunciando il perdono. Conversione e remissione dei peccati sono il fulcro del messaggio di Gesù e dell’esperienza dei discepoli. Si può essere testimoni solo di ciò che si è conosciuto, toccato, sperimentato in prima persona. E i testimoni non possono venire meno alla loro responsabilità: di fronte al vuoto lasciato da colui che è asceso al cielo, essi sono chiamati a farsi sue orecchie, mani, braccia per narrare all’umanità la nuova forma della presenza di Gesù. Per fare tutto questo è necessario lasciarsi riempire dallo Spirito che arriverà a Pentecoste.

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