Commento al Vangelo domenicale
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L’Ascensione segna l’inizio del tempo della Chiesa

Matteo 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro:
«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parole chiave: Ascensore del Signore (1), Roberto Gremes (9), Vangelo (411)

Non è facile dirsi addio. Quando una persona, a cui siamo legati, ci lascia, crolla improvvisamente un mondo fatto di prossimità, che riempiva la nostra vita, rendendola bella, accattivante, aperta a una miriade di progetti e di opportunità, che trovavano nell’altro uno stimolo a impegnarsi di più e un sostegno nei momenti d’insicurezza: insieme l’esistenza appariva una palestra dove esercitarsi a inventare il futuro. La sua assenza ci fa sentire come avvolti in una bolla di vuoto, dove perdiamo quota e precipitiamo, privi di appigli. Ci sentiamo vuoti dentro: un segmento importante della storia della nostra vita s’interrompe e non sappiamo più come riempire il tempo che ci resta, vorremmo solo che passasse in fretta. Ogni separazione ci lacera nell’intimo e ci cambia.
Chissà, forse erano questi i sentimenti che provavano i discepoli, mentre Gesù saliva al cielo. La loro mente era in subbuglio, riaffioravano dubbi e inquietudini: nonostante la promessa del Signore di donare loro il suo Spirito, si riaffacciava la paura e aveva il sopravvento un’insopportabile angoscia di abbandono.
Malgrado ciò, la solennità dell’Ascensione, che celebriamo questa domenica, è un invito alla gioia. Nella preghiera, che eleviamo al Padre all’inizio dell’Eucaristia, diciamo: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa..., poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria”.
L’Ascensione non rievoca un addio, non ratifica una separazione, ma annuncia un evento formidabile, il compimento della Pasqua: in Gesù risorto e asceso al cielo un frammento di umanità è ormai definitivamente collocato alla destra del Padre e, nel contempo, questa presenza è preludio degli ultimi tempi, quando l’umanità intera come una giovane sposa in braccio al suo Sposo entrerà nel suo talamo nuziale, in paradiso.
Nella seconda lettura san Paolo, scrivendo agli Efesini, dice in proposito: “Dio illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi...”. Il punto di arrivo di ogni nostra attesa è dunque il cielo.
Tuttavia, c’è un “tempo di mezzo” che dobbiamo riempire di vita. La prima lettura dal libro degli Atti degli Apostoli conclude la scena del ritorno di Gesù al Padre con l’intervento di due angeli che, rivolgendosi ai discepoli mentre lo accompagnano con sguardo, dicono: «Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo? Questo Gesù... verrà allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo». Gesù tornerà alla fine dei tempi, allora “Dio sarà tutto in tutti” (1 Cor 15,28), nel frattempo gli occhi dei discepoli devono tornare a posarsi sul mondo.
Il brano evangelico di Matteo colloca il commiato dagli undici su un monte in Galilea.
Il monte, simbolo biblico dell’incontro con Dio, diventa il luogo dell’ultimo contatto visibile con il Signore: lì si conclude un’esperienza di vita trascorsa con Gesù, che li accompagnerà per il resto dei loro giorni e che diventerà il filo conduttore di ogni loro discorso. La buona notizia, che come fuoco alimentato e sospinto dal vento dello Spirito raggiungerà ogni dove, sarà motivata da ogni attimo vissuto con il Signore. Anche la nostra testimonianza nasce da un rapporto di intima comunione con Cristo, corroborato dalla preghiera, dall’ascolto della sua Parola e dalla vita sacramentale.
Infine, dalla Galilea prende il via la missione degli undici. Tutto era iniziato in quella terra di frontiera, lontana dai centri di ogni potere e abitata da gente disprezzata. Nei suoi villaggi il Figlio di Dio aveva proclamato la lieta notizia: la discesa in campo di un Dio dal volto umano, che preferiva gli ultimi ai primi della classe e ai devoti dal cuore di pietra. Su quelle strade i discepoli avevano seguito il loro maestro, alternando picchi d’entusiasmo a momenti di smarrimento e di dubbio.
Il nostro mondo ci appare come una sconfinata “Galilea delle genti” (Mt 4,15), che attende un nuovo annuncio, per superare le sue complessità, i suoi drammi e le sue incertezze. Anche a noi, discepoli chiamati ad amare questo nostro tempo, Gesù ripete: «Andate..., battezzate... e insegnate... Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo», ossia: «Annunciate la mia Parola in modo sorprendentemente nuovo: diventi un suono mai udito, una melodia che incanta, che rappacifica i tumulti del cuore e rasserena la mente; sia come la Parola creatrice, uscita dalla bocca di Dio all’inizio del tempo, quando l’universo prese forma, affinché chi ascolta possa sentirsi ricreato, “immerso” in me, compenetrato dalla mia presenza, che illumina, indica la strada e ridesta il cuore».

L’Ascensione segna l’inizio del tempo della Chiesa
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