Commento al Vangelo domenicale
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Il dono della pace segno della benedizione del Signore

Giovanni 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Parole chiave: Vangelo della Domenica (306), VI di Pasqua (2)
Il dono della pace  segno della benedizione del Signore

Prosegue il tempo pasquale che porterà a celebrare la festa di Pentecoste e il brano evangelico di questa domenica ruota attorno alla promessa dello Spirito che Gesù fa ai discepoli. Il contesto è ancora quello dell’ultimo discorso del Nazareno riportato nel vangelo di Giovanni.
In tale occasione, alcuni dei Dodici pongono delle domande: ha iniziato Pietro, ha proseguito Tommaso e ora è il turno di Giuda, non l’Iscariota. Quest’ultimo chiede a Gesù perché annuncia che si manifesterà solo ai suoi e non al mondo; l’interrogativo del discepolo nasce, infatti, dal desiderio più o meno celato e trattenuto fino a quel momento che il Nazareno si mostri, faccia vedere a tutti ciò di cui è capace con segni e opere prodigiose, straordinarie, in modo che anche i più scettici, posti di fronte ad eventi miracolosi, non possano evitare di credere. Il desiderio che spinge Giuda è più attuale che mai: quante volte si è vissuta la tentazione di cercare larghi consensi, di pensare eventi che muovessero grandissime quantità di persone, di mostrare platee acclamanti, di rendere evidente il favore di cui si gode? A tutto ciò Gesù risponde in maniera chiara ponendo ordine tra ciò che è prioritario per un credente e ciò che non lo è. Se non si coltiva una relazione personale, intima con Dio tutto perde di senso perché rimane qualcosa di posticcio, creato per fare scena. Ciò che è determinante e irrinunciabile per un credente è l’amore per il Signore legato all’ascolto assiduo della sua parola e alla vita interiore abitata dallo Spirito. A quanti chiedono opere e gesti esteriori potenti che impattino pubblicamente sulla gente, Gesù risponde ribadendo l’importanza assoluta di un cammino di fede autentico, che conduce il credente a decentrarsi sempre di più in modo che il Signore trovi sempre più spazio in lui. Questo lavoro paziente e costante non è riconducibile solo all’uomo, ma è in gran parte opera dello Spirito.
L’annuncio della venuta dello Spirito Santo rappresenta il cuore del testo evangelico di questa domenica; Esso è colui che, quando verrà il tempo dell’assenza fisica di Gesù, si farà presente tra i credenti. Lo Spirito viene presentato come una sorta di maestro interiore poiché la sua azione è orientata ad insegnare e a ricordare quello che il Nazareno ha compiuto e vissuto lungo la sua esistenza. «Lo Spirito Santo… vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 13,26): queste sono le parole di Gesù relative alla funzione del Paraclito. È evidente che la finalità dell’azione dello Spirito non è principalmente quella di favorire la memorizzazione di interi passi evangelici per comprendere come agire nella quotidianità secondo l’esempio del Nazareno. Questo è un aspetto sicuramente importante ma secondario rispetto alla necessità di accogliere Dio nel profondo di sé fino a divenirne dimora. Lo Spirito permette all’uomo di operare quel decentramento che ha caratterizzato la vita di Gesù: Egli, infatti, lungo la sua esistenza terrena ha parlato e agito cercando di essere trasparenza del Padre. Allo stesso modo, ciascun credente è chiamato a fare spazio in sé alla voce di Dio, alla sua volontà.
Spesso si dice che noi siamo ciò che ricordiamo per attestare come la vita di ciascuno sia costruita e vissuta attorno alla memoria. Esperienze, parole, silenzi, attese, speranze, domande caratterizzano l’esistenza di ogni donna e ogni uomo e lo plasmano. Fare memoria della presenza del Signore e della sua parola aiuta a leggere la storia quotidiana con un’ottica diversa, divina, che consente ad ogni credente di comprendere la realtà alla luce della fede.
Quando manca poco a doversene andare dai suoi Gesù getta uno sguardo sulla sua opera che ancora non è compiuta, ma non lascia trasparire ansia o tristezza per il destino che spetta alla sua comunità: Egli sa che lo Spirito agirà sostenendo i discepoli soprattutto quando loro si sentiranno vacillare. In prossimità del suo congedo il Nazareno, dopo aver comandato ai suoi di amarsi vicendevolmente, dona loro la pace. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27): questo è il segno della benedizione del Signore. Non si tratta di un augurio o di un saluto cordiale, bensì di un dono grande che permette al credente di non cedere alla paura o allo scoraggiamento, perché in attesa del ritorno del Signore la pace resterà nel suo cuore e nessuno potrà spostarla da lì.
In un mondo sempre più lacerato e smarrito c’è da sperare che tale pace del Signore abiti sempre più tra gli uomini.

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