Spiato in tv
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Nulla di nuovo nella caccia ai criminali

Le vicende legate alla mafia dai tempi de La piovra in poi sono sempre state una grande fonte d’ispirazione per gli autori televisivi. Il cacciatore, nuova fiction di Rai 2 in 12 episodi, si ispira alla storia di Antonio Sabella, magistrato antimafia operante a Palermo negli anni ’90 del secolo scorso che ha raccolto in un libro autobiografico il suo operato alla ricerca spasmodica dei malavitosi dell’isola.

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Nulla di nuovo nella caccia ai criminali

Le vicende legate alla mafia dai tempi de La piovra in poi sono sempre state una grande fonte d’ispirazione per gli autori televisivi. Il cacciatore, nuova fiction di Rai 2 in 12 episodi, si ispira alla storia di Antonio Sabella, magistrato antimafia operante a Palermo negli anni ’90 del secolo scorso che ha raccolto in un libro autobiografico il suo operato alla ricerca spasmodica dei malavitosi dell’isola. Alle sue memorie edite sotto il titolo Cacciatore di mafiosi s’ispira questa nuova serie di Cross Production e Beta film in collaborazione con Rai fiction.
Francesco Montanari (nella foto) presta il volto a questo servitore dello Stato che dopo un’esperienza come amministratore a Roma, ora è tornato a lavorare presso il tribunale di Napoli. Scorrono sul piccolo schermo i fatti che insanguinarono l’Italia negli anni successivi alle stragi dove morirono Falcone e Borsellino, con al centro l’orribile morte di Giuseppe Di Matteo, figlio quattordicenne di un pentito di mafia, il cui corpo venne sciolto nell’acido. Gli autori inseriscono nella narrazione numerosi flashback dei protagonisti che rimandano alla loro giovinezza mettendo in luce come loro si siano sempre in modo viscerale attenuti o staccati prepotentemente da quanto vissuto allora. Tale opzione pare suggerire che il comportamento a favore o contro la legalità trovi una premessa importante, se non determinante, in quanto appreso durante l’età scolare. Per sottolineare la verosimiglianza con i luoghi dove avvengono le vicende raccontate, il quasi esclusivo uso del dialetto nella recitazione, se da una parte rende certamente il clima della storia presentata, dall’altra crea una certa difficoltà nel seguirla.
La fiction abbonda di luoghi comuni, di cliché consolidati che impediscono un approfondimento psicologico dei personaggi portati sul piccolo schermo. Questa ennesima storia di corruzione e di sangue non aggiunge nulla di originale a quanto già si sapeva o si è visto sulla mafia. Gli interpreti si limitano a mettere in scena in modo “quasi scolastico” i loro personaggi. Nessuno brilla su un altro, tutti si appiattiscono sullo stesso livello di sufficienza, senza che alcuno eccella. Lo share che oscilla tra il 7 e il 10% relega questa trasmissione agli appassionati del genere, mai sazi di vedere sempre le stesse storie in definitiva tutte uguali. Per andare a caccia di nuovi telespettatori e catturarne l’interesse bisogna cambiare accento e registro.

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