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Faccio, musicista di successo da riscoprire

Oreste Ghidini - Nicola Guerini
Franco Faccio (1840-1891). L’uomo e il musicista
Fondazione Giorgio Zanotto
Verona 2020
pp. 94, s.i.p.

Faccio, musicista di successo da riscoprire

“Franco Faccio, chi era costui?”. Riprendendo l’incipit dell’ottavo capitolo de I promessi sposi, in cui don Abbondio esordiva chiedendosi chi mai fosse Carneade, filosofo greco diventato con questa battuta l’emblema del perfetto sconosciuto, inizia la biografia dedicata a Franco Faccio, illustre musicista, compositore e direttore d’orchestra veronese, di cui purtroppo i suoi stessi concittadini ignorarono e ignorano l’importanza nel contesto culturale del secondo Ottocento italiano ed europeo. Ma a salvarlo dall’oblio e a rendergli i dovuti onori nel 180° anno dalla nascita, ci ha pensato la Fondazione Giorgio Zanotto che ha dato alle stampe Franco Faccio (1840-1891). L’uomo e il musicista, scritto a quattro mani da Oreste Ghidini e Nicola Guerini: un volume agile e di piacevole lettura, che ne ripercorre con competenza la vicenda umana e artistica.
Franco Faccio nacque in corso Castelvecchio, ora Cavour, a pochi passi dalla chiesa di San Lorenzo, che custodisce l’organo grazie al quale iniziò ad appassionarsi alla musica, a studiarne la teoria e a fare pratica della tastiera. Rivelò da subito una sensibilità fuori dal comune, oltre ad una memoria formidabile: le sue doti convinsero i genitori a destinarlo al Conservatorio di Milano, dove venne ammesso nel 1855. Pur lontano dalla città natale, rimase sempre vivo in lui il legame con la famiglia e la terra d’origine grazie anche al sodalizio con un altro veneto, il padovano Arrigo Boito (1842-1918), insigne scrittore e musicista: con lui condivise successi e delusioni, interessi artistici aperti alle influenze d’oltralpe e ideali patriottici, che li portarono ad arruolarsi insieme, come volontari garibaldini, allo scoppio della Terza Guerra d’indipendenza. Diplomatisi entrambi al Conservatorio, entrarono in contatto con il vivace ambiente meneghino e il coevo movimento della Scapigliatura.
Il 1863 fu per Faccio l’anno dello svolta: al Teatro alla Scala diresse, su libretto di un altro scapigliato, Emilio Praga, il suo primo melodramma I profughi fiamminghi, emblema della libertà contro lo straniero. S’impose come direttore d’orchestra la sera del 5 febbraio 1887, quando, ancora nel tempio della lirica, diresse Otello di Giuseppe Verdi, su libretto dell’amico Boito. Divenuto la più celebre e talentuosa bacchetta d’Italia, instaurò un rapporto privilegiato con il “Cigno di Busseto”, che gli affidò anche la prima italiana di Aida. Portò l’orchestra della Scala in Francia, diresse le opere verdiane a Vienna e strinse relazioni con gli intellettuali più influenti del suo tempo.
Ma all’apice della fama, iniziò ad accusare i primi sintomi di una demenza che lo portò al ritiro dalle scene e alla morte, a soli 51 anni. Milano lo ricorda con un busto nel foyer del Teatro alla Scala: l’auspicio è che questa pubblicazione spinga pure Verona a farne, finalmente, degna memoria.
Il volume è reperibile presso la Fondazione Giorgio Zanotto; info@fondazionezanotto.it.

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