Il Fatto di Bruno Fasani
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Un calciatore coerente ci aiuta a riflettere sulla libertà di coscienza

La notizia scivola via che quasi non te accorgi. E quando viene ripresa dal mondo dei media e della politica, è tutto uno scandalismo risentito da parte del politicamente corretto con la puzza sotto il naso...

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La notizia scivola via che quasi non te accorgi. E quando viene ripresa dal mondo dei media e della politica, è tutto uno scandalismo risentito da parte del politicamente corretto con la puzza sotto il naso. Idrissa Guana Gueye, 1 metro e 75 di muscoli e 32 anni sulle spalle, è un giocatore di calcio che viene dal Senegal e milita nelle file del prestigioso Paris Saint-Germain. Per il secondo anno consecutivo, dopo il 2021, a tutta la squadra viene imposto di giocare la penultima partita di campionato con una maglia dai colori arcobaleno. Per combattere l’omofobia, secondo il detto che «omo od etero portiamo tutti la stessa maglia». E per difendere i diritti Lgbt, acronimo per indicare quella marmellata sessuale che oggi sembra l’ultimo verbo in fatto di costume.
Non è che Idrissa abbia dato in escandescenze davanti alla proposta. Il suo stile composto ed un sorriso educato lo hanno sempre messo al riparo dal clamore. L’anno scorso aveva trovato la scusa per non giocare, adducendo una gastroenterite, ma quest’anno, col Dissenten preventivo in tasca, lo hanno messo con le spalle al muro: sputa il rospo, moretto! E lui il rospo lo ha sputato lasciando intendere che le sue convinzioni religiose e le leggi del suo Paese gli impediscono di aderire a questo sentire occidentale.
Difficile prevedere l’esito della querelle, che non sembra assolutamente muoversi in discesa. La ministra francese dello Sport ha giudicato il suo comportamento “deplorevole”. La Federazione Calcio e il consiglio nazionale dell’etica sportiva lo hanno invitato a “chiarire la sua situazione e dichiarare che le sue supposizioni sono infondate o, in subordine, chiedere scusa”. Se Idrissa per ora tace, per lui parlano i vertici del suo Paese di origine. Il presidente del Senegal si è schierato al suo fianco, chiedendo di rispettare le sue convinzioni religiose, mentre da altre parti viene acclamato come un eroe africano: «È rimasto fedele ai suoi valori, ai suoi principi e alla sua fede, ossia ciò che fa l’africanità di tutto un continente».
Si può essere d’accordo o meno, nel merito, con il calciatore africano, ma vietato demonizzarlo, per intrupparlo con un patriarca Kirill qualsiasi, dalle visioni omofobe, pronto a giustificare la guerra all’Occidente, per via del gay pride. Idrissa non ha dichiarato guerra a nessuno. Ha semplicemente chiesto che siano rispettate le sue convinzioni morali e religiose. Trovo straordinario che nel 2022, un giovane, che vive dentro una cultura assolutamente omologante, abbia la forza di rivendicare il primato della coscienza, come affermazione di libertà. È stato il cristianesimo, a dispetto di chi vorrebbe vederlo come la cultura dei pecoroni, a introdurre questo primato. Ai suoi esordi, mentre la povera gente correva dai discepoli coi propri malati, la claque dei dotti e potenti del tempo guardava gli apostoli con supponenza, giudicandoli rozzi e ignoranti, per via della loro diversità. Ma proprio davanti a questo disprezzo la forza di Pietro trovò il coraggio di proclamare che «bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini». Fu da questa convinzione che l’obiezione di coscienza causò i suoi martiri, ma fu anche da qui che la dignità di ogni persona si affermò a partire dal rispetto che meritano le convinzioni di ognuno.  
Una lezione, quella di Idrissa, che ci serve come pretesto per verificare la nostra oggettiva libertà. Convinti di esserne i detentori, ma incapaci di prendere coscienza e di svincolarci dall’intruppamento nel pensiero unico. Quello che ci insegna come dobbiamo vestire, mangiare, divertire, comprare e pensare. Dall’Africa, grazie ad uno sportivo coraggioso, una lezione di libertà a prescindere dalle convinzioni personali.

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