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Più dei muri contano le porte

Ad Aquileia, nella sala I del Museo archeologico nazionale, è ospitato un rilievo in marmo dei primi decenni del I secolo d.C. che ricorda la fondazione della colonia, punto di riferimento fondamentale anche per la diffusione del cristianesimo nel Triveneto...

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Più dei muri contano le porte

Ad Aquileia, nella sala I del Museo archeologico nazionale, è ospitato un rilievo in marmo dei primi decenni del I secolo d.C. che ricorda la fondazione della colonia, punto di riferimento fondamentale anche per la diffusione del cristianesimo nel Triveneto.
La scena raffigura lo svolgimento di un rito che, inaugurato da Romolo il 21 aprile 753 a. C., avrebbe poi caratterizzato l’atto iniziale di ogni città romana ovvero la cerimonia rituale del sulcus primigenius o del “primo tratto di aratro”, secondo una modalità che probabilmente era già tipica della cultura italica precedente.
Il fondatore (conditor), alla presenza dei magistrati inviati da Roma, guida l’aratro trainato da un toro e da una vacca tracciando il pomerium, il perimetro sacro e invalicabile della nuova città. Tutto ciò che era all’interno era terreno dell’urbs e consacrato agli dei; per questo su questo segno sarebbero state costruire le mura urbiche. Per i romani tutto questo aveva significati profondi che mescolavano sentimenti di orgoglio, pietà religiosa e paura. Il solco e poi le mura rappresentavano una cesura tra lo spazio aperto (libero e diverso) e la zona dell’insediamento umano (con la sua dimensione limitata, conosciuta, organizzata e codificata). Fuori da questa “linea di confine” stava ciò che era straniero e tutto ciò che poteva fare paura o contaminare negativamente l’interno; tra questo anche la necropoli (ovvero “città dei morti”) che in questo modo era ben separata dalla città dei vivi. Gli antichi romani avevano ben presente che serviva distinguere il dentro e il di fuori, l’al di qua dalle mura e l’al di là di esse. 
La particolarità del sopracitato rilievo di Aquileia è che si rappresenta non il momento in cui le lame sono nel terreno per creare il solco, ma sono alzate: è il modo per lasciare intatte le zolle destinate alle porte, unici varchi consentiti tra la città e il territorio circostante. 
 I Romani, infatti, davano importanza alle mura ma altrettanto ai varchi: mediazioni tra le due zone, porte per consentire passaggi di merci, persone e idee. Senza porte l’intera città e il singolo cittadino sono destinati in breve tempo a una brutta fine, come dimostrano nelle varie epoche storiche gli effetti degli assedi o delle chiusure esagerate.
Mentre la (necessaria) utopia ci fa sognare un luogo e un tempo in cui non ci saranno muri di separazione, il (sano) realismo ci fa dire che ogni persona e società ha bisogno di qualcosa che distingua e rassicuri, ma  deve sempre prevedere e decidere che ci siano pure porte aperte.
Luca Passarini

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