Il commissario Schiavone: il Montalbano di Aosta
Antonio Manzini
Era di maggio
Sellerio editore
Palermo 2015
pagg. 400 - 9,90 euro
Rocco Schiavone è un poliziotto originale e scontroso, entrato ormai nel cuore dei lettori: lo dobbiamo all’estro letterario di Antonio Manzini, attore e sceneggiatore, che l’editore Sellerio vanta anche tra i suoi autori. È ben più che una coincidenza che il poliziotto romano, finito ad Aosta, abbia visto la luce grazie al medesimo editore di gran parte delle storie del collega siciliano, Salvo Montalbano. Diventa inevitabile un raffronto fra i due tutori dell’ordine, visto che si danno non pochi punti di contatto fra loro: convinti antidivi, in costante frizione con i superiori, spesso a motivo delle loro frequentazioni, inossidabilmente uniti alle loro compagne (Montalbano all’eterna fidanzata di Boccadasse; Schiavone alla moglie assassinata sotto i suoi occhi e ora impegnato in un lutto che ancora non l’ha restituito alla vita).
Venendo alle peculiarità, Rocco Schiavone opera ad Aosta, col cui clima conduce una lotta senza quartiere. Spalleggiato dai fidi agenti Italo Pierron e Caterina Rispoli, affronta il proprio compito in modo caparbio, con la menzionata ferita nella sfera degli affetti che non ne vuol sapere di rimarginarsi e che il rude poliziotto si limita a nascondere sotto una spessa coltre di finto cinismo. In Era di maggio, Schiavone si trova impegnato su più fronti, che però non mancano di mostrare, alla fine, un marcio denominatore comune: lo strano assassinio di un detenuto calabrese, la sparizione improvvisa di un pregiudicato, le sfortune di un imprenditore valdostano cui era stata rapita la figlia, l’uccisione di una cara amica di Rocco stesso, venuta ad Aosta per far ingelosire il fidanzato e freddata nel letto di Rocco, perché scambiata per lui.
Il vicequestore esce da par suo dall’intricata vicenda, affiancato in questo caso non solo da Italo e Caterina, ma anche da un gruppetto di amici ch’egli ha mantenuto nella capitale, gente affezionata ma dalla fedina penale non immacolata. Sbroglia la matassa, il nostro eroe, ma, come accade sempre nelle storie che lo vedono protagonista e che Sellerio ha meritoriamente fatto conoscere al grande pubblico, trascina con sé una gerla pesante di malinconia e tristezza: per il crimine che sembra rifiorire rigoglioso dalle vittorie stesse della giustizia; per una vita affettiva che non guarisce, incontrando patetici surrogati, ma non varchi possibili; per una città che non ama e dove si trova a scontare i danni collaterali del proprio metodo non sempre limpido. Andrea Camilleri protesta giustamente nei riguardi della tendenza a valutare in modo ingeneroso i romanzi gialli, come si trattasse sempre di letteratura di serie inferiore. La meritata fortuna di Montalbano sconfessa in modo deciso simile metro di misura, se è vero, poi, che i più accaniti ammiratori del commissario di Vigata si lasciano individuare in una fascia di cultura medio-alta. Anche chi fa il piacevole incontro con la figura di Rocco Schiavone deve ricredersi del tutto su un giudizio penalizzante che riguardi il mondo del giallo. In una temperie in cui la pressoché totale assenza di trama, se non viene salutata come merito, viene almeno tollerata come figlia del tempo, la briosa costruzione di un intrigo credibile e la convincente sagomatura di personaggi degni del nome fanno onore all’intelligenza del popolo in lettura.
Aristotele indica nella dimensione imitativa del linguaggio un contrassegno di ciò che oggi chiamiamo letteratura, avviando riflessioni di ordine filosofico il cui valore meriterebbe ben altro spazio. Nel solco del vigoroso pensiero dello Stagirita, è sufficiente rimarcare il fatto che la letteratura punta la stella polare del vero percorrendo il sentiero del verisimile, anche quando la verità risulta abrasiva di consolidati pregiudizi. Schiavone, cavaliere senza paura, ma non certo senza macchia, è un acuto rabdomante del marciume, che ha nella moneta sonante, più che nella latitudine, il più temibile alleato.