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Verona entra in un romanzo grazie ai misteri di Costanza

Alessia Gazzola da qualche anno vive in riva all’Adige. Ha scelto la nostra città per ambientarvi un giallo storico

Parole chiave: Alessia Gazzola (1), Letteratura (2), Leggere (2), Verona (223)
Verona entra in un romanzo grazie ai misteri di Costanza

Verona è solo la patria di Giulietta e Romeo? Shakespeare l’ha resa celebre in tutto il mondo, ma la letteratura contemporanea pare non essere molto interessata alla nostra città. Negli ultimi anni ci sono stati parecchi casi di centri divenuti co-protagonisti di romanzi apprezzati dal pubblico: la Napoli cruda e poetica in cui si muove il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, ideato da Maurizio De Giovanni; la Bari dell’avvocato Guido Guerrieri, inventato da Gianrico Carofiglio; perfino Aosta ha il suo Rocco Schiavone, plasmato da Antonio Manzini nei suoi gialli. 

Invece Verona no. O meglio, non ancora. A colmare questo vuoto ci ha pensato Alessia Gazzola (nella foto sopra, scattata da Dario Boemia), giovane scrittrice – classe 1982 – che da qualche anno si è stabilita in riva all’Adige col marito e le due figlie. Originaria di Messina, laureata in Medicina e chirurgia, con una specializzazione in Medicina legale, ha sfondato con L’Allieva nel 2011 (divenuta pure una serie tv di successo) e oggi è un’affermata autrice di narrativa. Il suo ultimo romanzo, Questione di Costanza (Longanesi) è ambientato a Verona, che fa da sfondo alla storia di Costanza Macallè, giovane madre single assunta come paleopatologa dall’università, ma in cerca di sbocchi lavorativi migliori.  

– Finalmente Verona entra in un romanzo: perché nessuno ci aveva ancora pensato? 

«Mi sono posta la stessa domanda. Come mai un luogo così suggestivo e ricco di storia non è stato preso di mira da un romanziere? Verona è una città bella, vivace e molto turistica. Sicuramente pesa l’eredità del modello shakespeariano, ma credo che la risposta stia nella casualità: non è capitata la storia giusta al giusto romanziere. Come diceva Balzac, i luoghi sono protagonisti muti accanto ai personaggi. Quello giusto è quello che lo scrittore vuole raccontare: per me era Verona e sono ben contenta di averla trovata». 

– Nel libro ci sono molti spunti di fantasia, ma pure luoghi fisici definiti, come il castello di Montorio e la basilica di San Zeno. Per delineare i personaggi, lei prende ispirazione studiando le persone per strada? 

«Ogni scrittore deve osservare tanto. Sono finiti quei romanzieri come le sorelle Brontë, che potevano scrivere capolavori chiuse nella propria stanza. Farsi ispirare è fondamentale. Io non sono una veronese dop, ho la residenza qui da un paio d’anni. Ci sono tante cose che non conosco, perciò mi sono approcciata cautamente alla città. Osservo tanto, poi riutilizzo le informazioni che traggo dalle mie spiate e le rielaboro». 

– Con Costanza condivide la formazione professionale e la provenienza, Messina. A differenza sua, lei però ha imparato ad amare Verona. Prima di trasferirsi aveva in testa lo stereotipo della città dell’amore? 

«In realtà conoscevo e frequentavo Verona perché qui abitano dei carissimi amici. Così quando si è profilata la possibilità di venire a viverci per sempre ho colto la prospettiva molto favorevolmente; tutto l’opposto di Costanza, che si impone Verona come piano B e quindi nei primi capitoli è molto scontenta. Certo, anche per me l’ambientamento iniziale è stato difficile, perché esiste una fase di transizione in cui si devono consolidare abitudini e relazioni. Ora mi sento a casa e non cambierei». 

– Qual è il suo angolo preferito? 

«San Zeno. Ci arrivo a piedi rispetto a dove abito. Mi piace moltissimo il chiostro, luogo di bellezza e di pace. Per il libro ho avuto l’opportunità di visitare la torre abaziale, in cui è conservato un affresco murale che ritrae Federico II, una delle poche testimonianze esistenti. E poi mi piace molto passeggiare lungo le Rigaste san Zeno e godere della bella vista sull’Adige».

– Da paleopatologa, Costanza deve ricostruire la storia di una treccia deposta insieme a un cavaliere. È stato difficile cimentarsi in un genere diverso, qual è il romanzo storico? 

«È stata una sfida. Potevo andare avanti a oltranza con L’allieva. Non ero in crisi creativa, però sentivo il bisogno di sperimentare nuove modalità di narrazione. Sono uscita dalla mia comfort zone: ho dovuto studiare molto per Costanza. Scrivere di Alice (protagonista de L’allieva, ndr) era come portare le pantofole, ora sono passata ai tacchi a spillo». 

 Costanza dovrebbe essere una trilogia; la vedremo trasposta sul piccolo schermo?

«La mia idea originale è di fare tre libri. Ma sono poco metodica e mi lascio trasportare dal calore che ricevo dai lettori, quindi vedremo. Mi piacerebbe moltissimo se andasse in tv: ho ceduto i diritti, ma siamo ancora in una fase interlocutoria».

– Pochi giorni fa a Verona è stato annunciato l’avvio di una ricerca sul genoma di Cangrande della Scala, morto a 38 anni nel 1329. Dopo Federico II ed Ezzelino da Romano, Cangrande potrebbe finire nel seguito di Costanza?  

«È stato proprio dalla notizia degli studi sui resti di Cangrande, che è nato l’interesse per la paleopatologia e la curiosità per questo cold case! Avevo visto un servizio del tg regionale, qualche anno fa, e mi sono avvicinata alla materia; sono contenta che il filone di ricerca stia proseguendo. Sicuramente nel prossimo libro, che sto scrivendo, Cangrande non è previsto. Forse però ci sarà Regina della Scala, la figlia di Mastino II…». 

– Bisognerà suggerire al sindaco di darle una medaglia: ormai è un’ambasciatrice della città...

«Non la rifiuterei, ma non me la aspetto come atto dovuto. Intanto mi godo i riconoscimenti di Messina: a maggio andrò con piacere a ritirare il titolo di laureata eccellente della mia università». 

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