Il Fatto di Bruno Fasani
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Si credono dei coraggiosi ma sono solo incoscienti

L’adolescenza, si sa, è una stagione della vita in cui va a definirsi l’identità di una persona. Ed è proprio da questo bisogno di affermarsi che prende corpo la spavalderia, che rasenta spesso l’incoscienza. Sappiamo bene in quante situazioni a rischio ci siamo messi anche noi quando eravamo ragazzi...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Adolescenti (13)

L’adolescenza, si sa, è una stagione della vita in cui va a definirsi l’identità di una persona. Ed è proprio da questo bisogno di affermarsi che prende corpo la spavalderia, che rasenta spesso l’incoscienza. Sappiamo bene in quante situazioni a rischio ci siamo messi anche noi quando eravamo ragazzi. Magari ce n’era uno più grintoso, spericolato, ma noi si andava a coda. Non era necessariamente il leader, ma era quello che trascinava nel proibito, in quelle situazioni che i grandi non dovevano sapere, ma che dava tono a ometti in via di sviluppo.
Mi trovavo a fare queste riflessioni mentre la cronaca ci riportava due episodi drammatici. L’uno in Lombardia dove un ragazzo di 15 anni, dopo essere salito sul tetto di un centro commerciale, di notte e con amici, è piombato nel tubo di aerazione, precipitando per quaranta metri. Ragazzi normali, passati al cinema e poi pronti a scavalcare ringhiere e scale per spingersi lassù in alto. Il tempo di un selfie da pubblicare su Facebook, magari accompagnato dalla scritta che già altre volte aveva accompagnato situazioni analoghe: “A noi la morte non fa paura”. Difficile credere che la morte non facesse davvero paura, soprattutto in quegli interminabili secondi della caduta, quando le certezze si infrangevano sotto i piedi. Ma a quindici anni anche un po’ di sbruffonaggine ci sta. Ci siamo passati tutti.
Il secondo episodio ci porta a Venezia, dove due fratelli, di 15 e 13 anni, si sono introdotti in un cantiere edile a loro vicino, per giocare col muletto dell’azienda. Sembra che fosse un gioco divenuto abituale. Si intrufolavano quando non c’erano titolari e operai, accendevano il mezzo e poi via a fare le scorribande sull’improvvisata Ferrari. Fino a quando il muletto ha deciso che a lui le curve fatte a manetta non andavano bene, seppellendo, alla prima sterzata maldestra, il più piccolo dei due fratelli sotto il suo peso.
Di comune, queste due vicende, hanno forse soltanto l’incoscienza dei ragazzi e il dolore dei loro genitori. Un dolore che si tende a esorcizzare scaricandolo sulla mancata sicurezza ambientale. E allora sotto processo finiscono le ringhiere troppo basse, la mancata chiusura a chiave dei locali della sede aziendale, la mancanza di una grata nel tubo di aerazione... Certamente l’ambiente va reso sempre più sicuro, ma senza dimenticare che anche i giovani devono assumersi la loro parte di responsabilità. Se non c’è la testa anche il tubo della grondaia può prestarsi a qualche inconveniente.
Di nuovo, se volete, ci sono caso mai i condizionamenti sui comportamenti dei giovani prodotti dalla rete. Farsi i selfie mentre si cammina pericolosamente sui cornicioni delle case è cosa notoria tra i ragazzi, così come l’ultima trovata, quella del Tide Pods, ossia masticare le capsule di detersivo (il Tide ricordate?), farsi la ripresa col cellulare e poi, ovviamente, finire in ospedale.
Gli esperti ci dicono che tutto questo sia cosa da ragazzi normali, senza problemi particolari. Di particolare c’è casomai un bisogno smisurato di mostrarsi, un narcisismo smodato, che sotto sotto, racconta di un vuoto non da poco. È d’obbligo parlare di normalità, ma sappiamo tutti che proprio normale tutto questo non è.

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