Commento al Vangelo domenicale
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Il seminatore... distratto che ottiene grandi frutti

“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare… così sarà della mia parola…”

Parole chiave: Adelino Campedelli (7), Vangelo (421), Liturgia (14), Domenica XV (3)

Con la liturgia della Parola di questa quindicesima domenica del tempo ordinario iniziamo a leggere il capitolo undicesimo del vangelo di Matteo denominato il capitolo delle parabole del regno e la prima e fondamentale parabola che leggiamo è quella notissima del seminatore.

Anche ad una semplice lettura risulta evidente che il testo di questa domenica si può dividere in tre unità e cioè: a) l’esposizione della parabola con l’azione del seminatore e l’effetto della semina in vari terreni alcuni inadatti alla produzione del grano, uno invece adatto e capace di dare molto frutto; b) le motivazioni che Gesù porta ai discepoli su loro domanda del perché usi parlare in parabole; c) la spiegazione che Gesù stesso dà della parabola del seminatore.

Il discorso è certamente un po’ complesso e ricco di suggestioni sia per la comprensione dell’attività di Gesù, sia per le conseguenze per la vita della Chiesa e per quelle personali di ogni discepolo.

Il racconto si rifà ad una scena di vita agreste così comune in Israele: è il tempo della seminagione, ma nel racconto sembra che il seminatore sia un po’ distratto perché il seme sparso va a finire anche su terreni inadatti o in ambienti ostili a portare frutto, è certo però che un terreno adatto si trova ed il frutto che porta è variamente abbondante ma garantisce un esito positivo alla seminagione.

L’uso di parlare in parabole compare qui per la prima volta nel vangelo di Matteo ed è perciò naturale che questo susciti la curiosità dei discepoli e che chiedano a Gesù perché usi questo modo di esprimersi. La risposta a prima vista che Gesù dà sembra contenere un forma di discriminazione: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno, ma a loro non è dato”, ma il ricorso alla profezia di Isaia chiarisce bene che ”a loro non è dato” per la chiusura del loro cuore.

Non si tratta di una esclusione da parte di Dio ma di un rifiuto da parte delle  persone: il testo evangelico pensa sicuramente agli scribi, ai farisei, ai capi del popolo e alla classe sacerdotale, ma nella lettura attualizzante che ne fa la Chiesa nella liturgia, il discorso si riferisce a tutti coloro che anche oggi chiudono coscientemente e volontariamente il loro cuore all’accoglienza del vangelo.

Tuttavia la stessa risposta di Gesù non attribuisce ai discepoli il merito di una personale conquista, ma sottolinea decisamente il carattere di dono che ha tale conoscenza: “a voi è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli”; è la stessa espressione che usata nell’inno di giubilo letto nel vangelo della scorsa domenica dove affermava che tutto era stato dato dal Padre.

Siamo di fronte quindi non ad una predestinazione ad essere esclusi dal Regno né ad una accoglienza meritata con uno sforzo personale, ma di un dono, un’offerta che Dio ci fa, di fronte alla quale è impegnata tutta la nostra responsabilità: il dono è gratuito: sta a noi accoglierlo o rifiutarlo.

C’è infine la spiegazione che Gesù dà della parabola e che potrebbe essere riassunta così: il dono della Parola e la risposta dei diversi terreni sui quali la parola di Dio cade; il frutto è condizionato dal tipo di terreno che lo accoglie.

È evidente che la spiegazione che Gesù dà della parabola ha un forte impatto con la nostra condotta personale e descrive la prospettiva di fallimento o di riuscita della nostra vita proprio in relazione all’accoglienza della Parola che noi mettiamo in atto; Dio non disdegna di seminare in qualsiasi terreno, nessuno è da lui escluso, ma il frutto dipende anche da noi.

Ci si potrebbe chiedere: se la Parola di Dio è un dono gratuito, in che modo richiede la nostra collaborazione? Non con la conquista a forza, non con le nostre forze umane, ma con l’apertura del cuore. È sempre vero quello che Gesù dice nel libro dell’Apocalisse: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” (Ap 3, 20)

Apriamo la porta del nostro cuore a Gesù che bussa e porteremo frutto in abbondaza.

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