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Una vicenda di servitù e di liberazione

Lazzaro felice
(Italia, 2018)
Regia: Alice Rohrwacher
Con: Adriano Tardioli, Nicoletta Braschi, Alba Rohrwacher, Tommaso Ragno
Durata: 125’
Valutazione Cnvf: Raccomandabile/problematico/dibattiti

Parole chiave: Lazzaro felice (1), Film (103), Cinema (101), Carlo Ridolfi (19)
Una vicenda di servitù e di liberazione

Lo spagnolo lazèro, che significa povero, cencioso e che da noi è andato per estensione anche a voler dire nullafacente, sfaticato. Questa è una delle origini del nome. Ma Lazzaro ha anche, per chi vuole ricordarsene, un evidente riferimento evangelico.
Alice Rohrwacher, giovane ma sensibilissima regista italiana, ha sicuramente avuto presenti tutte le connotazioni del nome che ha scelto di dare al protagonista del suo terzo lungometraggio, che del povero di spirito, di quelli che saranno beati, ha tutte le caratteristiche, quasi fino alla resurrezione dalla morte.
Lazzaro felice, infatti, è una storia di servaggio e di liberazione, raccontata però non con i toni di una inchiesta politico-sociale, ma con quelli del realismo fantastico che tanta fortuna ha avuto nella letteratura di paesi latinoamericani quanto poca ne ha riscosso da noi (in letteratura forse solo Ermanno Cavazzoni. Al cinema qualcosa di Sergio Citti e alcuni momenti della poetica di Ermanno Olmi).
All’“Inviolata”, una tenuta agricola che pare sospesa nello spazio e soprattutto nel tempo, regna una cattivissima marchesa (Nicoletta Braschi), che sfrutta il lavoro di una cinquantina di persone in una coltivazione di tabacco nella quale le condizioni sembrano essere quelle di un paio di secoli or sono. In questo ambiente vive il giovane Lazzaro (Adriano Tardioli), che ha uno sguardo talmente ingenuo sulla realtà e sugli esseri umani da sfiorare la purezza di cuore di un santo. Non è un santo, è un giovane con tutte le fragilità e le incoscienze della sua età, moltiplicate per mille da frequentazioni o con presunti amici che vogliono quasi solamente manipolarlo e prenderlo in giro (come l’arrogante biondo marchesino) o con contadini e giovani ragazze incoscienti e stralunate quanto lui.
Così la vicenda si colora di mistero e di avventura, con una costruzione narrativa che non sempre brilla per continuità e coerenza, ma alla quale si perdonano anche qualche incongruenza e un po’ di confusione, tanta è la simpatia e la tenerezza che infondono i personaggi che si susseguono a popolare una carovana di caratteri quanto mai variegata.
La regista e sceneggiatrice non è però così sprovveduta da suggerirci un inesistente mondo rurale premoderno e idilliaco, contrapposto alla città, nella quale si arriva a un certo punto della storia, cinica e senza armonia.
L’analisi dei caratteri e delle situazioni è molto più raffinata e complessa, ma – così come nei film precedenti – la qualità maggiore di Alice Rohrwacher, che qui si conferma, è l’empatia solidale con i più fragili e i meno provveduti di fronte alla prosa del mondo.

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