Pentagrammi
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Le sette parole di Cristo in croce di Haydn: una riflessione di Muti e Cacciari

Una riflessione a due voci sul senso della musica e su un capolavoro orchestrale della classicità: questo il contenuto di uno snello ma denso volume edito da il Mulino, Le sette parole di Cristo, nel quale Riccardo Muti e Massimo Cacciari illustrano senso, stile e forma delle Sette ultime parole di Cristo sulla croce di Haydn

Parole chiave: Haydn (1), Muti (1), Cacciari (1), Pentegrammi (3)

Una riflessione a due voci sul senso della musica e su un capolavoro orchestrale della classicità: questo il contenuto di uno snello ma denso volume edito da il Mulino, Le sette parole di Cristo, nel quale Riccardo Muti e Massimo Cacciari illustrano senso, stile e forma delle Sette ultime parole di Cristo sulla croce di Haydn.
Il libro è diviso in due parti: nella prima, Il suono delle immagini, il dialogo prende in esame il tema estetico del rapporto tra i sensi e le facoltà immaginative. In questa sezione è Cacciari a sostenere il ragionamento, che principia con il concetto umanistico di “imagines agentes”, cioè immagini che producono pensieri: dopo che la visione ha prodotto pensiero, quest’ultimo, arricchito dall’emozione, avvia l’immaginazione, la quale diviene infine discorso. Il pensiero dunque segue l’immagine e la trasforma in un simbolo, la riempie di senso tenendo insieme e collegando oggetti diversi. La facoltà della mente attivata dalla visione entra in dinamica con il suono, con lo stesso processo e risultato di emozione e produzione di conoscenza, perché il suono precede la parola, ed è come una facoltà intima di ogni uomo, nel quale il corpo entra in risonanza con la materia e la natura. Muti sottolinea dunque la fisicità dell’ascolto, la necessità di lasciarsi rapire nell’evocazione spontanea che conduce alla percezione dell’armonia del mondo, secondo un principio già pitagorico che peraltro, nelle parole del direttore, ritorna in maniera forse un po’ generica. Dettaglia meglio Cacciari, insistendo sulla dialettica psichica necessaria di collegamento tra visione, udito e parola, in un nesso inscindibile a mostrare il quale il discorso filosofico scommette su un senso che è proposta non definitiva, bensì aperta, suggestiva, dichiaratamente poetica. Ecco il nodo centrale del saggio: nel momento in cui la mente percepisce la musica, avvia un processo poetico di collegamento e rapporto tra ambiti della conoscenza differenti, la cui definizione è ardua ma necessaria per arricchire con la parola l’esperienza stessa, affinché i meccanismi che producono emozione divengano condivisibili. E così si connette la seconda parte del libro, dedicata all’illustrazione dell’opera di Haydn. Qui è soprattutto Muti a condurre l’analisi, con uno stile pregnante insieme e limpido, accessibile a chiunque desideri comprendere l’indiscutibile emozione che ci prende all’ascolto di un brano di rara potenza evocativa. Articolata in un’introduzione, sette sonate e un Terremoto che funge da finale, composta per il Venerdì Santo del 1786, la composizione non è solo un’intensa meditazione sul Mistero sacro ma, come spiega Muti, una prova suprema di suono che, modellato sulla parola, riesce ad assumere esattamente quella forma sintetica della conoscenza globale che è il significato ultimo di ogni immaginazione musicale. I gesti retorici della melodia, le relazioni di tonalità, il profondo sentimento religioso di Haydn e la sua espressione attraverso l’armonia e le scelte di strumentazione sono illustrati da Muti per rendere l’idea più importante che è sottesa a ogni esperienza d’ascolto: le sensazioni che nascono possono anche non coincidere con ciò che ha dato ispirazione al compositore (che è comunque inconoscibile), ma vanno molto oltre, perché l’esperienza della musica in sé risulta indipendente da qualsiasi altra cosa, connettendo nell’Haydn interpretato da Muti il racconto evangelico con la pittura di Masaccio, e da questi insieme al senso ultimo della vita.

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