Pentagrammi
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Alla scoperta di Franz Joseph Haydn emblema del classicismo viennese

Nella triade dei classici viennesi, il nome di Franz Joseph Haydn (1732-1809) è certo quello meno noto e meno eseguito, a fronte del cospicuo numero di libri e dischi dedicati invece a Mozart e a Beethoven

Parole chiave: Franz Joseph Haydn (1), Pentagrammi (37)

Nella triade dei classici viennesi, il nome di Franz Joseph Haydn (1732-1809) è certo quello meno noto e meno eseguito, a fronte del cospicuo numero di libri e dischi dedicati invece a Mozart e a Beethoven. Giunge dunque utilissimo nelle librerie il volumetto Franz Joseph Haydn. Una guida all’ascolto, edito da Zecchini e scritto da Alberto Cima Vivarelli, che colma dunque una lacuna nella divulgazione musicale di base con uno stile semplice, diretto, pensato per l’appassionato non specialista ma non inutile anche al professionista. Il lodevolissimo sforzo di Vivarelli è stato quello di proporre delle succinte analisi di tutte le opere maggiori e di moltissime delle minori del grande compositore: trattandosi di un catalogo smisurato, non si può che rimanere ammirati per lo sforzo esegetico e critico messo in testo. Il risultato è validissimo per poter farsi strada in mezzo alla selva luminosa haydniana, per poter ascoltare le incisioni discografiche con quel discernimento per forma ed espressione che il Genio ha profuso in brani che non solo risultano capolavori in sé, ma che rappresentano in prospettiva storica l’indispensabile premessa alle creazioni diverse dell’intera stagione classico-romantica.
Vivarelli mette giustamente in luce come Haydn costituisca l’ideale della nuova classicità in forma completa e perfetta: è evidente dai quartetti e dalle sinfonie, modelli insuperabili di equilibrio cui i successivi grandi autori non potranno che apportare varianti strutturali organiche, all’interno di una forma di per sé così compiuta da non lasciare spazio a ulteriori invenzioni d’architettura. Così, solo con il contrappuntismo reinventato da Mozart, o con la smaterializzazione ritmica e l’intenzionalità sonora sincretica di Beethoven si potrà innovare quel linguaggio che Haydn aveva determinato a livello totale e assoluto: il flusso sonoro di un’idea di finitudine che ad un tempo contempla e materializza il paradigma del mondo. Non è un caso che si stagli nella produzione di Haydn l’oratorio sacro La creazione, composto tra il 1796 e il 1798, che racconta sulla base della Genesi l’origine del cosmo sino ad Adamo ed Eva. Contesto di una religiosità fervente e diretta, realizzato per masse orchestrali e corali con solisti, La creazione principia con un’introduzione orchestrale che, da sola, potrebbe a buon diritto esser considerata il primo e più alto dei poemi sinfonici: suoni rarefatti e dissonanti di violini e viole si levano dopo un accordo di Do minore, serpeggiando incerti nel vuoto cosmico, nella Rappresentazione del caos che si sviluppa per 59 battute. Poi l’arcangelo Raffaele intona le parole “all’inizio Dio creò il cielo e la terra”, e il coro, sommesso, declama: “Lo Spirito di Dio scorreva sulla superficie dell’acqua”. Una pausa. “E Dio disse: «La luce sia»”. E sulle successive parole il miracolo musicale: in tedesco “e la luce fu” suona “und es war licht”, e così Haydn fa intonare al coro ancora lentamente, come sottovoce, indugiando, le parole “und es war”, mentre sulla parola “licht”, “luce”, una vera e propria esplosione in fortissimo di tutta l’orchestra esclama un accordo in Do maggiore, che di colpo annulla tutte le incertezze cromatiche, le esitazioni sospese del minore precedente. Lo splendore massimo dell’atto creativo trasposto in puro suono, nel trionfo della tonalità perfetta: contro ogni oscurità, sopra ogni caos. Avesse anche scritto solo questo, Haydn potrebbe stare tra i massimi musicisti metafisici di ogni tempo.

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