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La grandeur francese tra ambizioni e fallimenti

Paese che sogna di essere la guida dell’Ue nel dopo-Merkel, ma...

Parole chiave: Macron (1), Parigi (4), Francia (3)
La grandeur francese tra ambizioni e fallimenti

La Francia vive una fase di forti contraddizioni, perennemente in bilico tra il sogno di diventare una grande potenza e la percezione delle proprie fragilità interne. Aspira a guidare l’Europa nell’era post-Merkel, ma non riesce a imporre la propria leadership sul piano internazionale (ad esempio in Libia, nel Mediterraneo orientale o in Sahel). Vuole rifondare l’Unione Europea, ma è alle prese con una gestione lacunosa della pandemia. Ha un capo di Stato giovane e ambizioso che può contare su un forte potere centralizzato, ma non è in grado di garantire la coesione sociale e di rispondere efficacemente alle sfide interne poste dai gilet gialli e dal radicalismo islamico.
La distanza tra ambizioni e realtà è il filo rosso che segna le politiche portate avanti dal presidente Emmanuel Macron negli ultimi anni.

Chiuso tutto
La cronaca recente conferma le incongruenze presenti nel Paese. A fine marzo, Macron è stato costretto a indire un terzo lockdown generalizzato della durata di un mese, nonostante le promesse fatte alla popolazione a inizio 2021. Dal 3 aprile in Francia sono vietati spostamenti oltre un raggio di dieci chilometri da casa, le scuole sono chiuse (almeno fino al 26), è in vigore il coprifuoco serale, i negozi non essenziali sono chiusi e il lavoro da remoto è diventato obbligatorio dove possibile. La responsabilità di questa nuova chiusura ricade sulle spalle del presidente, che dall’inizio della pandemia ha sfruttato i poteri centralizzati assegnatigli dalla Costituzione per gestire in prima persona l’approccio sanitario dall’Eliseo.
Le scelte di Macron
A fine gennaio Macron aveva deciso di non introdurre nuove misure restrittive nonostante i segnali di allarme lanciati dal comitato di consulenza scientifica: gli epidemiologi avevano predetto che, a causa della circolazione delle varianti del virus, i ricoveri sarebbero nuovamente aumentati a febbraio, con una spaventosa accelerazione nel mese di marzo.
Il presidente ha però voluto seguire la propria strategia, mantenendo aperte le scuole e tutelando imprenditori e lavoratori. A marzo i casi da Covid-19 sono aumentati esponenzialmente: il primo aprile si sono registrati quasi 60mila francesi positivi.
Con gli ospedali ormai al collasso, Macron è stato costretto a fare marcia indietro, assumendosi le proprie responsabilità e ammettendo di aver perso la scommessa di gennaio.

Vaccinazioni lente
All’azzardo delle scelte sanitarie, si aggiunge un inizio di campagna vaccinale incerto: nei primi due mesi dell’anno, i ritmi in Francia sono stati più lenti rispetto a quelli di altri Paesi come l’Italia, e c’è stata un’accelerazione solo dalla fine di febbraio. A inizio aprile il 13,7% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino; solo il 4,6% ha completato il ciclo vaccinale. Dati in linea con la media europea, ma non all’altezza delle promesse fatte dal governo.

Rischio tensioni sociali
La gestione della pandemia ha contribuito a fiaccare la popolarità del capo di Stato: già prima dell’annuncio del lockdown, il presidente aveva perso due punti percentuali, scendendo al 39% del consenso nazionale. Secondo recenti sondaggi, il vantaggio del suo partito sul Rassemblement National guidato da Marine Le Pen si è ridotto ad appena quattro punti percentuali.
Si tratta di trend allarmanti per un presidente che nella primavera del 2022 punta a essere rieletto. A pesare sulla conferma all’Eliseo è anche la grave crisi economica attraversata dal Paese: nel 2020 il Pil è crollato di circa nove punti percentuali, in linea con altri Paesi europei, ma il doppio rispetto agli alleati/rivali tedeschi. Il rischio è che le difficoltà causate dalla pandemia acuiscano le disuguaglianze e le tensioni sociali, per ora disinnescate dagli aiuti statali, che avevano dato il la alle proteste dei gilet gialli.

Il Piano di rilancio
I risultati economici saranno fondamentali per la rielezione. Nel settembre 2020 il governo francese ha presentato un piano da 100 miliardi di euro fondato su tre pilastri: ecologia, competitività e coesione sociale. Secondo le stime, il Plan Relance (piano di rilancio) dovrebbe spingere la crescita di circa 1,5 punti percentuali all’anno: l’obiettivo è raggiungere i livelli di attività economica precedenti la pandemia entro il 2022. Come in Germania, non sono previsti particolari stimoli del potere d’acquisto delle famiglie: il focus è soprattutto su aziende – in particolare piccole e medie imprese – e lavoratori. Il futuro del presidente dipenderà in buona parte dall’efficacia di queste misure.

Più vicini all’Italia
Anche in politica estera le mosse di Macron soffrono delle stesse contraddizioni emerse sul piano interno. In Europa l’intento del presidente è chiaro: vincere le elezioni del 2022 per garantirsi altri cinque anni al potere e sfruttare l’uscita di scena di Angela Merkel per proporsi come nuovo leader del continente. In quest’ottica vanno letti i tentativi della Francia di cercare sostenitori rafforzando i propri legami con Paesi strategici come l’Italia.
Parigi e Roma hanno confermato la volontà di firmare un trattato bilaterale entro la fine dell’anno, con consultazioni governative automatiche sul modello dell’accordo siglato con la Germania. Macron si è inoltre battuto per un Recovery Fund che aiutasse i Paesi in difficoltà e rinsaldasse, allo stesso tempo, i legami con i partner europei.
Le alleanze, però, sono a geometria variabile e la partita è ancora tutta da giocare, con l’appuntamento elettorale dell’anno prossimo a frenare qualsiasi disegno di leadership europea.

Delusioni “estere”
Sul piano internazionale, la retorica altisonante usata dalla Francia in questi anni non è riuscita a concretizzarsi in azione politica e a raggiungere i risultati sperati. L’esercito francese di stanza nel Sahel è alle prese con una guerra troppo difficile da vincere e troppo costosa da perdere: il ritiro delle truppe ventilato da Macron a inizio anno è rimandato, in attesa che un evento inneschi una exit strategy ordinata, da far passare agli occhi dell’opinione pubblica come una vittoria.
In Libia l’interventismo francese a favore del maresciallo Khalifa Haftar è stato oscurato dalle azioni sul campo di Russia e Turchia, ora pronte a spartirsi idrocarburi e giacimenti. Sfruttando i legami storici e il passato coloniale, il presidente Macron ha inoltre provato a mediare una via d’uscita dalla crisi politica in Libano, senza sortire però alcun effetto.
Nel Mediterraneo orientale la strenua resistenza della Francia alle decisioni unilaterali della Turchia di Erdogan in materia di esplorazioni petrolifere non ha trovato risonanza tra i principali partner europei e della Nato, che hanno invece assunto posizioni più caute. Secondo gli analisti, al di là della retorica da grande potenza, il dinamismo di Macron non ha saputo lasciare il segno sui principali dossier internazionali. È il ripetersi delle contraddizioni di un Paese eternamente in bilico tra i sogni di grandeur e una realtà sulla quale fatica a lasciare il segno.

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