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Un triller storico all’ombra di Dante

Bianca Garavelli
Le terzine perdute di Dante
Bur - Milano 2015
pagg. 348 - 12 euro

Un triller storico all’ombra di Dante

La statura del Dante pensatore non è in discussione: è il dato pacifico che emerge dalle sue opere e, in perfetta circolarità ermeneutica, a partire dal quale la sua produzione viene interrogata. Sicuramente originale è l’immagine del Dante visionario, in tutto figlio del suo tempo, ma capace di intuizioni potenti, cui non manca la radice mistica, che le scienze del ventesimo e del ventunesimo secolo svolgeranno con dovizia di particolari e di prove corroboranti. Da questa insolita caratterizzazione dell’Alighieri scaturisce la vicenda abilmente costruita e raccontata da Bianca Garavelli, medievista che mette con meritato successo le proprie competenze al servizio della fiction letteraria.
Riccardo Donati, un ricercatore italiano in attesa della svolta decisiva nella propria vita accademica, s’imbatte in un antico manoscritto impreziosito dalla presenza di una manciata di versi danteschi. Donati lo sottrae, con abile stratagemma, alla Biblioteca Ambrosiana, ancora ignaro del preciso significato del sapere teosofico depositato dal poeta fiorentino nelle terzine in questione, e senza sospettare il rinnovato scatenarsi di una lotta che, attraversando i secoli, risale ai tempi dell’autore della Commedia. Protetto da una fratellanza di cui, a sua insaputa, fa parte la fedele amica Agostina, Riccardo è costretto a fuggire per tutta l’Italia settentrionale, fino a fermarsi a Parigi, dove circa sette secoli prima ha dimorato, da esule, Dante. Questi, a contatto con gli spiriti più illuminati d’Europa, riesce a dar corpo a una straordinaria visione in cui Dio costituisce il cuore dell’universo, ma parallelamente fiuta il tremendo pericolo della distruzione del mondo, qualora abbiano corso alcune scelte distorte e, purtroppo, irreversibili da parte dell’uomo.
La Garavelli si accolla il difficile compito di creare una vicenda che ha quale coprotagonista il Sommo Poeta. Lo fa in modo convincente e ordinato, tessendo una trama piacevole da seguire, annodata in modo saldo a due ganci temporali (il Trecento, a Parigi; la contemporaneità, nel Nord Italia), ed esibendo una scrittura finalmente non succube di uno stolto e immotivato cupio dissolvi della punteggiatura.
Il romanzo, pur senza voler essere un manifesto filosofico, sembra trasmettere l’anelito ad un pensiero tanto più vigoroso quanto più sa bere a sorgenti diverse. Per nulla indovinati e per niente necessari son parsi, invece, gli ammiccamenti a Dan Brown.

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