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Una domanda per cinque quesiti

di Nicola Salvagnin
Ecco i referendum dell'8 e 9 giugno. Ma non sono un po' troppo "tecnici" per il popolo

Una domanda per cinque quesiti

di Nicola Salvagnin

È stato scritto su questo giornale la scorsa settimana: l’esercizio del voto amministrativo è “dovere civico” (non un obbligo) secondo l’art. 48 della Costituzione; mentre il voto referendario è un “diritto” (art. 75) e “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se si è raggiunta la maggioranza dei voti validi”.
Da ciò ne consegue che un referendum popolare, se appunto sottoposto al vaglio degli elettori italiani, deve passare due ostacoli per raggiungere il suo scopo: far votare almeno la metà più uno degli elettori; quindi – superata questa boa che altrimenti lo invalida – ottenere la maggioranza dei voti a favore del quesito referendario. Possono essere dei “no” o dei “sì” a seconda appunto del quesito proposto: nel caso dei cinque referendum che chiameranno alle urne gli italiani l’8 e il 9 giugno, è il “sì” che premia chi ha proposto i referendum.
Un tempo, quando i partiti erano quelli e non cambiavano nome e dirigenze dal lunedì al venerdì, era normale per gli elettori valutare come si schierassero i partiti stessi. Ognuno la pensava come voleva, ma un occhio su cosa dicesse il proprio partito preferito... beh, lo dava. 
Oggi, che la politica italiana ha acquisito la stessa serietà della cartomanzia, diventa molto meno interessante sapere chi dice che cosa. I cinque referendum hanno padri diversi: quello sulla cittadinanza italiana “accelerata” era stato proposto da +Europa e poi da un nugolo di associazioni, e aveva raccolto molto rapidamente oltre 600mila firme. 
I quattro quesiti relativi invece al mondo del lavoro hanno come vero padre la Cgil, a cui si sono poi affiancati il Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico. Già qui scendiamo nelle giostre del luna park: il Pd chiede l’abrogazione di alcune norme fatte votare dal… Pd, ma dieci anni fa. Solo i cretini non cambiano idea, ma un po’ di sconcerto la cosa lo lascia. 
Così come è bello vedere la posizione fredda se non contraria di partiti del centrodestra, che dieci anni fa si scagliavano contro quelle norme, e che oggi invece le difendono e quindi propongono di non andare a votare, o di votare “no”. Al che si deduce che se una parte dice che la Luna è gialla, per l’altra diventa immediatamente blu; e tra qualche anno le due opinioni potrebbero essere diametralmente opposte.
Verona fedele non intende esprimersi sui contenuti dei cinque referendum. Lascia ai suoi elettori l’incombenza di valutarli e di decidere il da farsi. In redazione ognuno di noi ha le sue opinioni, mentre è opinione comune che certi quesiti referendari siano così specifici e tecnici, che sia ben difficile la comprensione degli stessi per moltissimi italiani. Come valutare se serva o meno una causale scritta per motivare un contratto a tempo determinato? Chi ha competenze dettagliate sulle normative che regolano i rapporti tra imprenditore committente e chi riceve un appalto e poi magari lo subappalta? 
Insomma: appare materia più per il Parlamento che per il popolo. Capita – è capitato – che i promotori referendari appunto vogliano scavalcare un Parlamento restìo o pigro nel trattare certi temi. O che gli obiettivi dei referendari siano “altri” rispetto ai singoli quesiti. Ma così si rischia di snaturare l’essenza dei referendum, che chiedono al popolo di esprimersi su temi – magari divisivi – che coinvolgano vita e interessi del popolo stesso. Mentre negli ultimi anni siamo stati chiamati alle urne per decidere o meno l’abrogazione dell’Ordine dei giornalisti o per le trivellazioni in alto mare... Vedremo, alla sera di lunedì 9 giugno, se questa preoccupazione era valida o meno. Ci piace solo sottolineare, a margine, che il quesito sull’estensione della cittadinanza avrebbe meritato un’attenzione e un dibattito che non ha avuto. Speriamo, nel caso di morte referendaria, diventi tema politico e parlamentare.
Il voto: chi e quando
I seggi elettorali saranno aperti dalle 7 di domenica 8 giugno fino alle 23; dalle 7 di lunedì 9 giugno fino alle 15. Potranno votare pure i fuorisede che abbiano fatto domanda entro il 5 maggio per votare in un Comune diverso da quello di residenza, gli italiani all’estero iscritti all’Aire e quelli che si trovano temporaneamente fuori Italia per motivi di lavoro, studio e cure mediche, se hanno fatto richiesta entro il 7 maggio. Sono chiamati alle urne oltre 47 milioni di italiani. Affinché i quesiti referendari non decadano, occorre che si presentino alle urne almeno la metà più uno degli elettori. Ecco i cinque quesiti.

Sulla cittadinanza
Il referendum sulla cittadinanza italiana (scheda gialla) vuole ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare necessari per chiedere la cittadinanza italiana. Il quesito non modifica gli altri requisiti richiesti dalla legge per richiedere la cittadinanza: la conoscenza della lingua italiana, avere un reddito stabile, non avere commesso reati. Sono più di due milioni le persone in suolo tricolore interessate dall’eventuale cambiamento. C’è anche da ricordare che gli attuali dieci anni in realtà sono di più, visti i lunghi tempi burocratici per ottenere definitivamente la cittadinanza.
Sui licenziamenti illegittimi
La scheda verde chiaro vuole abrogare le norme sui licenziamenti che permettono alle aziende di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo (se è stato assunto dopo il 2015), ma di risarcirlo con un indennizzo economico che varia dalle 6 alle 36 mensilità (le cosiddette “tutele crescenti”). Se abrogata tale normativa, torna in vigore la legge precedente, e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori modificato dalla legge Fornero del 2012: reintegro e risarcimento.
Nelle piccole imprese
La scheda arancione chiama gli italiani ad esprimersi sulla cancellazione del tetto che limita le indennità nei licenziamenti fatti da imprese con meno di 16 lavoratori. Attualmente un lavoratore licenziato da una piccola impresa può ottenere un massimo di 6 mensilità di risarcimento.
Sui contratti a termine
La scheda grigia punta ad eliminare alcune norme sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato, oggi stipulabili fino a 12 mesi senza che un datore di lavoro debba indicare un motivo specifico. Insomma si mira a reintrodurre una “causale” che spieghi perché ci si avvalga del contratto a tempo determinato.
Sicurezza sul lavoro
Infine la scheda rosso vivo contiene un quesito che mira ad aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente nel caso di infortuni sul lavoro o di malattie professionali. L’attuale normativa esclude la responsabilità datoriale se i danni ai lavoratori sono causati da rischi specifici dell’attività del subappaltatore.

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