Il Fatto di Bruno Fasani
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La violenza sulle donne più che di avvocati avrebbe bisogno di civiltà

Su Leonardo La Russa, diciannovenne figlio del presidente del Senato, sembra sia fortunatamente calato il silenzio. Ed è un bene, perché l’impressione è che, dietro al moralismo con cui lo si è processato in piazza prima ancora di conoscere esattamente come sono andate le cose...

Parole chiave: Il Fatto (417), Violenza (18), Donne (27)

Su Leonardo La Russa, diciannovenne figlio del presidente del Senato, sembra sia fortunatamente calato il silenzio. Ed è un bene, perché l’impressione è che, dietro al moralismo con cui lo si è processato in piazza prima ancora di conoscere esattamente come sono andate le cose, l’obiettivo neppure tanto nascosto fosse quello di colpire il padre e il governo che lo ha espresso. Se oggi ne parlo è per cercare di tirarne qualche conclusione.
Ma ricapitoliamo brevemente quanto accaduto. È il 18 maggio scorso quando Leonardo va con amici in una discoteca di Milano. Lì c’è una ragazza, che lo conosce e che ne è molto presa, come confida alle amiche. I testimoni ci riferiscono che per due volte la signorina ha tirato di coca, chiedendone poi dell’altra ancora. Considerato che la roba è finita, fa ricorso ad alcolici, ripiegando, in mancanza d’altro, su alcune pasticche di psicofarmaci. Poi dice di aver bevuto un ulteriore drink offertole dal ragazzo di cui è invaghita. Quello che viene dopo è buio fitto. Dirà di essersi svegliata l’indomani in casa La Russa e di aver subito violenza mentre era in stato di incoscienza. Quaranta giorni dopo, un avvocato di famiglia andrà a presentare denuncia nei confronti del giovane Leonardo e di un terzo amico, forse pure presente. Io non so esattamente cosa sia accaduto, ma non occorre scomodare Lucrezio, cantore epicureo della passione dei sensi, per capire come vadano a finire certe cose. Le varie civiltà, proprio per autotutelarsi, hanno sempre cercato di contenere e gestire l’animalità di alcuni comportamenti. Creando i tabù, introducendo principi religiosi o morali, attraverso la psicologia e la psicanalisi, sapendo bene che senza un controllo dell’istinto tutto diventa possibile. Lontanissima da me la tentazione di esprimere giudizi e tantomeno di prestarmi a improponibili difese. Come si dice in questi casi, sia la giustizia a chiarire quello che c’è da chiarire. Non mi unisco neppure al giudizio dei benpensanti quando ricordano a Leonardo che un gentiluomo non abusa mai di una donna quando è fatta come un pero cotto. Sono personalmente convinto che, quando molti giovani escono dalle discoteche, potrebbero essere messi tutti indistintamente nella pentola delle pere cotte. Mi limiterò quindi a due considerazioni.
La prima riguarda la violenza e tira in ballo le famiglie. Lo stile di vita di una ragazza di vent’anni, che fa uso di alcol, droga e psicofarmaci, fino a ridursi come uno zombi, va considerato esercizio di libertà o è catalogabile comunque come gravissima violenza, prima ancora di quella sessuale? E le famiglie che hanno in giro i figli di vent’anni, oggi definiti “adultescenti” e talvolta “adultescemi”, sanno dove sono i loro ragazzi e si informano quando non li vedono rientrare la notte e neppure all’alba?
Chiudo con una seconda considerazione. Se noi oggi diciamo no alla violenza sessuale (in grande crescita purtroppo nel mondo giovanile) dobbiamo chiederci se qualche responsabilità non vada cercata anche in quella cultura che ne è l’ispiratrice se non l’istigatrice, senza che nessuno abbia da dire una sola parola. Penso ai distributori di preservativi nelle scuole, penso alla pornografia sui social, penso alle varie pillole abortive, penso allo stesso aborto, unico caso in cui l’adolescente non ha bisogno per praticarlo di chiedere l’autorizzazione ai genitori. Penso ai modelli trasgressivi con sfondo sessuale, proposti dal mondo dei cosiddetti Vip. Se questo è il seme...

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