Il Fatto di Bruno Fasani
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La libertà senza paletti produce soltanto virus

Su Whatsapp mi arriva una delle tante vignette che circolano in questi giorni. Mostra una gabbia stipata di persone con la mascherina sulla bocca. Fuori, animali in libertà. E una scritta in inglese: the revenge of nature, la vendetta della natura.

Parole chiave: Bruno Fasani (325), Il Fatto (417), Coronavirus (96), Virus (10), Ambiente (22)

Su Whatsapp mi arriva una delle tante vignette che circolano in questi giorni. Mostra una gabbia stipata di persone con la mascherina sulla bocca. Fuori, animali in libertà. E una scritta in inglese: the revenge of nature, la vendetta della natura. A voler fare i moralisti non occorre scomodare Greta Thunberg. Nel laboratorio di Mr. Hyde, da tempo abbiamo messo in piedi la bottega dei veleni. Poi li abbiamo disseminati in giro per il mondo, bucando l’ozono, disboscando foreste, trasformando le terre coltivate a ortaggi in terre dei fuochi, abbiamo fabbricato strumenti per distruggerci a vicenda, armi di ogni tipo, armi chimiche e gas nervini da usare con le persone, come si ammazzano le mosche. Illusi sulla supremazia delle guerre, mentre si riducono i poveri del mondo allo stremo, in una generale e burbanzosa presunzione di impunità.
Smetto i panni del fustigatore ambientalista e cerco di cogliere il buono che sta dentro la vignetta. Ci hanno messo in gabbia, non è una novità. Quasi tutti, ovviamente. Mentre scrivo la Tv mi passa alcuni filmati dal Sud della penisola. «Noi del virus ce ne fottiamo» grida il più furbo della covata dentro un crocchio di persone in una promiscuità da mercato. Ma è tutta una serie di deficienze che camminano, in varie situazioni e ambienti, a mostrare due facce del Paese e ti chiedi con rabbia quanto manchi ancora all’unità d’Italia. E mentre raffronto la vignetta della gente in gabbia con la presunzione degli stolti, la lezione viene fuori da sola. La libertà che non accetta regole e limiti porta inevitabilmente alla prigionia. Questione solo di tempo.
Stavolta a farci paura è un virus che non riusciamo ad arginare, ma tante altre libertà, senza limitazioni, continuano a presentarci il conto in vari ambiti del vivere. A cominciare dall’ambito educativo.
Prima che inventassero il telefono azzurro, ci siamo portati a casa tutti qualche scappellotto. Non abbiamo avuto bisogno dell’ortopedico e in compenso questo ci ha risparmiato di diventare bulli o finire in qualche baby gang. Poi è arrivato il vietato vietare, mentre il mondo avanzava cantando il peana della società dei diritti. E non importa se mai i diritti vengono calpestati come ai nostri giorni. Diritti per tutti, alla pari di un reddito di cittadinanza. Diritti gridati con la voce tanto alta da mettere la sordina alla parola doveri. I doveri, percepiti come una gabbia, ma senza i quali la libertà si trasforma in anarchia e la responsabilità cede il passo alla logica dei furbetti di turno.
Siamo nelle nostre case a vivere da reclusi. Non andare di qua, non andare di là, attento su, attento giù. La cosa ha un suo prezzo, ma ci consegna la percezione che senza divieti, il nemico ti colpisce inevitabilmente. Al dogma del fai quello che vuoi, subentra pian piano la convinzione che il limite è l’unica condizione per diventare liberi. O dentro casa, o dentro una cassa, si potrebbe dire con uno slogan un po’ funesto. La metafora può piacere o meno, ma è comunque calzante, a ricordarci che, passata la buriana, dovremo mettere all’ordine del giorno il tema della libertà. Ce lo suggerisce il Coronavirus, col suo linguaggio sfacciatamente mortifero.

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