Il Fatto di Bruno Fasani
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Il coraggio di Paolo VI profeta solitario nel difendere la vita

1963, sessant’anni fa. 1968, cinquantacinque anni fa. 1978, quarantacinque anni fa...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Paolo VI (8)

1963, sessant’anni fa. 1968, cinquantacinque anni fa. 1978, quarantacinque anni fa. Tre date che mi rimandano a una figura luminosa della Chiesa, san Paolo VI. Per ricordare rispettivamente: la sua elezione al papato, la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae e, infine, l’anno della sua morte avvenuta il 6 agosto, giorno della Trasfigurazione.

Un’occasione per una visita ai suoi luoghi di origine. A cominciare da Concesio, dove era nato e dove, oggi, una suora straordinaria, impastata di umiltà e di cultura vi aiuterà a scoprire la grandezza di questo gigante della Chiesa. Ma senza dimenticare il santuario di Santa Maria delle Grazie a Brescia, proprio di fronte alla casa dei Montini, che san Paolo VI ricorderà spesso nei suoi interventi. «L’8 settembre era l’occasione abituale di riunione della nostra famiglia; e in quel pio domicilio, casa e Chiesa, di culto mariano, maturò la nostra giovanile vocazione sacerdotale» (Angelus del 9 settembre 1973).

Se oggi mi fermo a pensare a papa Montini è però in riferimento alla sua enciclica Humanae vitae. Fu bollata da subito come un documento ostile alla contraccezione e quindi una sorta di presa di posizione oscurantista rispetto alla modernità che avanzava con le sue teorie nuove e libertarie. Erano gli anni caldi della rivoluzione sessantottina. Le cronache ci raccontano che non pochi, anche tra i vertici della Chiesa, tentarono di dissuaderlo dal pubblicare quel documento, prevedendone le conseguenze. Lui tirò dritto, anche se ebbe chiarissima la percezione che da allora sarebbe iniziato il suo esilio umano, confinato nei luoghi comuni che lo vedevano come l’uomo del tormento e del dubbio. Come i veri profeti, fu mosso dal coraggio, camminando avanti in solitudine, perché aveva visto prima e più lontano a cosa si sarebbe andati incontro.

L’Humanae vitae non è soltanto una enciclica morale, ma anche sociale. La grande intuizione da cui partiva era che la sessualità, a differenza di quanto sostenuto fino ad allora, non aveva soltanto finalità procreativa, ma anche unitiva. Intuizione biblica che rimetteva al centro la coppia, prima ancora dei figli, e che oggi potrebbe offrire ancora molti spunti su cui riflettere. Per esempio a riguardo della sessualità delle coppie etero od omosessuali, che non possono avere figli.

Ma l’enciclica portava anche un grande cono di luce su uno stile di vita emergente, dove la sessualità veniva sganciata dalle responsabilità. Ce ne saremmo accorti di lì a poco, dovendo costatare l’avvento di una gestione animalesca dei corpi, dove la sessualità, svuotata di ogni valore e finalità, sarebbe diventata soltanto una pratica genitale, tante volte affine alla pornografia.

Infine, Paolo VI, con lucidità profetica aveva intuito il pericolo di un futuro in cui gli Stati sarebbero diventati i grandi burattinai nel controllo delle nascite. E non si pensi soltanto al caso più noto della Cina, con l’obbligo del figlio unico. Oggi il controllo delle nascite è bene orchestrato dalla cultura e dalla sanità, che garantisce pillole abortive del giorno dopo, di quindici giorni dopo, proponendone la gratuità, attraverso un tam tam mediatico in cui l’aborto è rivendicato come solitaria e arbitraria conquista di civiltà e, dove spesso, il celebrare la vita rischia di passare come oscurantista attaccamento al passato.

Oggi i santi non sono molto di moda. Ma ciò non toglie il valore della loro voce, davanti ad un mondo che ci chiede di essere credibili, prima ancora che credenti. Ne va del bene dell’umanità.

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