Ex Cathedra
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Le stagioni di Mario: una storia di casa nostra

Molti anni fa cominciai a scrivere a Mario Rigoni Stern (Asiago 1921-2008). Lo avevo letto tardi, ma ero rimasto affascinato dal suo primo famosissimo racconto...

Parole chiave: Mario Rigoni Stern (1), Ex Cathedra (34)

Molti anni fa cominciai a scrivere a Mario Rigoni Stern (Asiago 1921-2008). Lo avevo letto tardi, ma ero rimasto affascinato dal suo primo famosissimo racconto, il suo doloroso gnòstos dalla terra russa, dopo la disfatta italiana nel 1943, quel Il sergente nella neve che si aggiudicò, giusti dieci anni dopo i fatti, nel 1953, il premio Viareggio, opera prima. Poi avevo proseguito nel cammino di scoperta di questo autore e con un passo indietro lo avevo incontrato sui fronti di Francia, Albania e Grecia (Quota Albania, Einaudi, Torino 1971) fino al ritorno e all’immersione nella natura dell’Altipiano (Il bosco degli urogalli, Einaudi, Torino 1962) che aveva portato con sé, tassello dopo tassello, racconto dopo racconto, la nascita di un monumento antropologico di rara bellezza. Quelle Storie dall’Altipiano, raccolte poi nel riassuntivo Meridiano mondadoriano curato con amore da Eraldo Affinati, nel 2003. La lettura di Rigoni Stern mi proiettava direttamente dentro il suo mondo in un rapporto intimo con la natura e la sua essenza profonda. Gli scrissi che i suoi cieli erano quelli della letteratura russa, che il suo era uno sguardo casto, puro sul mondo degli uomini e sul creato, un modo reale di conoscenza dell’Altro. Insomma i libri di Mario stavano diventando come quelli di cui parla J.D. Salinger ne Il giovane Holden, a pag. 23 dell’edizione einaudiana del 1970: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle”. Così gli scrissi tutto questo ed ottenni, lo scoprii dopo perché questi erano i suoi tempi, a distanza di un mese, una lettera autografa, cui ne seguirono altre. Il rapporto si infittì a tal punto che, allora giovane e sfrontato, gli proposi un’intervista, anzi gli mandai uno schema con già un’introduzione e delle domande. Un lunedì, al ritorno da scuola, trovai la sua lettera, gonfia, scritta con la stilografica, con quattro fogli di risposte in una calligrafia chiara, perfettamente leggibile. Mi misi subito all’opera: ampliai l’introduzione, trascrissi le domande concordate e portai tutto a Verona Fedele, dove Valerio Locatelli curò l’impaginazione. L’intervista uscì, una copia del giornale fu spedita ad Asiago e ci fu una risposta piena di gratitudine da parte del Sergente. Non poteva finire lì: una frase dell’intervista, ovviamente letta in classe ed esibita come un trofeo di caccia, divenne un tema. “Ai ragazzi raccomando: giocate all’aperto in allegra brigata. Ai giovani: leggete, studiate, spegnete la Tv, ascoltate musica e non fracasso; fate sport e non tifo, innamoratevi. Scrivere? Sì se c’è l’ispirazione; scrivere con la penna e non con il computer, usare i vocabolari, leggere tanto, usare con parsimonia il telefono”, aveva scritto Rigoni nella sua risposta per i giovani. Alla fine della correzione raccolsi una piccola antologia di risposte che spedii ad Asiago con due righe: “Lo stimolo è stato accolto in modo molto vivace e le valutazioni finali oscillano dal sei e mezzo al sette e mezzo / otto. L’ultimo pensiero che mi è venuto è che saremmo degli infelici se pensassimo che tutto quello facciamo finisse nel nulla: non ci sarebbero più né scrittori, né professori”.

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