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Confronti e riscontri eucaristici

In questi mesi in cui celebriamo il 1700° anniversario del Concilio di Nicea (20 maggio – 25 luglio 325), molti teologi sottolineano come problematico il fatto che non ci si ritrovi più a “battagliare” per le questioni importanti...

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Confronti e riscontri eucaristici

In questi mesi in cui celebriamo il 1700° anniversario del Concilio di Nicea (20 maggio – 25 luglio 325), molti teologi sottolineano come problematico il fatto che non ci si ritrovi più a “battagliare” per le questioni importanti. Quel primo Concilio della storia, infatti, nacque da una necessità concreta: dare risposte condivise su alcuni temi centrali – in primis la natura di Cristo in relazione al Padre – permettendosi di far emergere le questioni e posizioni differenti, per raggiungere poi l’unità dogmatica (e quindi ecclesiale) e indicare così il cammino a tutti i fedeli, dai pastori al neofita, dallo studioso alla persona analfabeta. Oggi, segnalano appunto alcuni esperti, c’è una sorta di calma piatta non perché improvvisamente ci si trovi d’accordo su tutto, ma perché abbiamo dimenticato l’importanza della riflessione che deve dare fondamenta al nostro credere, direzione al nostro sperare e operare nella carità, per fare in modo che la Tradizione di sempre sia anche oggi trasmissibile (come dice la parola stessa). Compito del teologo, in questo, è pure fare emergere quando ci sono punti nevralgici che sono rimasti scoperti o rischiano di essere fraintesi.
Così ha fatto nei giorni scorsi il liturgista Andrea Grillo, veronese di residenza da alcuni anni, che con i suoi abituali modi un po’ pungenti ha lanciato sul suo blog una forte provocazione rispetto alla dottrina eucaristica, sottolineando come tante volte, quando si parla della devozione di Carlo Acutis, si cancelli o dimentichi l’essenziale – tra cui il vero senso della presenza reale di Cristo nell’eucaristia e l’unità tra corpo sacramentale ed ecclesiale – in favore di altri aspetti in realtà non essenziali, come la devozione ai miracoli eucaristici. 
Non sono mancate le critiche e le risposte da parte di quotidiani come Il foglio, di mensili come Il timone, siti di diverso orientamento tra cui alcuni tradizionalisti.
Pure don Bruno Fasani, nella rubrica “Il fatto” su Verona fedele della settimana scorsa, è intervenuto preoccupato che venga negata la dottrina della Transustanziazione e la presenza reale di Cristo a favore di una lettura protestantica.
Allo stesso Andrea Grillo non sono per nulla piaciuti temi e toni, perché – come ha evidenziato in una lettera inviatami – lo ha sentito come “un lungo attacco direttamente alla mia persona (non alle cose che scrivo, ma alle illazioni sulle mie parole ricostruite in modo del tutto arbitrario)” e un insulto a un teologo senza diritto di replica. In particolare, non ha certo gradito il sentirsi dare del pericoloso cattivo maestro con facoltà di insegnare visto che, nell’articolo sul blog a cui fa riferimento,  non ha mai sostenuto le tesi di cui è accusato.
Mi dispiace della situazione che si è creata, ma esco immediatamente dalla polemica perché, come scrivevo all’inizio, per me è molto più importante – nello stile che alcuni chiamano della “sinodalità delle idee” – cogliere l’occasione per parlare, almeno una volta, di temi fondamentali della fede. 
Propongo, quindi, le riflessioni di due preti veronesi a partire proprio da questo dibattito: una su cosa ci possono dire i miracoli eucaristici proprio della “presenza reale” e di cosa si intenda con questa espressione; l’altra sull’idea di devozione, coniugata nell’oggi.
Secondo don Zeno Carra, l’insistenza sui miracoli eucaristici, a cui è stata legata la figura di Acutis, manifesta la necessità di tener conto nella dogmatica di aspetti che a volte passano come secondari, in particolare l’utilizzo dei sensi, che umanamente non possiamo tener fuori neanche dal cammino di fede e sacramentale. Questo, però, vuol dire che dobbiamo lasciarci interrogare, aperti a risposte che magari non sono quelle “garantite”.
Lo dice facendo notare che il pensiero di san Tommaso d’Aquino, a cui si rifà la dogmatica cattolica ancora oggi, mostra dei limiti anche proprio quando guardiamo ai miracoli eucaristici. Per Tommaso infatti – come cantiamo nell’Adoro te devote a lui attribuito – le vie d’accesso al Mistero sono solo l’intelletto e la fede, non i sensi (e quindi gli “accidenti” di pane e vino).
Il movimento liturgico nell’ultimo secolo, recuperando in realtà la tradizione più antica della fede cristiana sull’eucarestia, ha fatto propria anche questa istanza: Cristo ha scelto di venire ancora oggi a noi nel pane e vino come tali, anche nel loro aspetto fisico e sensoriale, che rimane pure quando diventato veramente il suo corpo e il sangue. Insomma, fare propria una devozione, vuol dire anche lasciarsi provocare da essa in tutti gli aspetti.
Don Pietro Busti, dottorando in Teologia a Parigi, prende spunto da questa stessa discussione per sviluppare, invece, una riflessione sul tema della “devozione giovanile”. La questione che emerge da Acutis, e da chi propone le sue modalità di vivere il suo essere cristiano, è che tutti abbiamo bisogno di una forma concreta e personale con cui appropriarci della fede. L’attenzione da avere è che alcune devozioni – o meglio, il modo di viverle – nascondano il pericolo di essere alienanti. 
Compito della teologia, sostiene Busti, è anche quello di prendere sul serio la sensibilità diffusa oggi tra i giovani – apertura all’altro e al trascendente –, dando ad essa contenuti veri, cioè pensieri articolati che rendano comprensibile e intellegibile la singolarità di Dio e che evitino alle persone di ritrovarsi semplicemente rinchiusi in una sorta di camera d’eco che rende solamente sordi e alienati. 
Si può così pensare a un cammino di ricerca da fare insieme verso una sorta di “devozione conciliare”, con linguaggi e pratiche che siano nuove (ma senza dimenticare l’antico), e che abbia come fondamento la fiducia nel mondo e nell’altro, in quanto luogo sacramentale della presenza di Dio. Aprendo le nostre devozioni al pensiero e i nostri pensieri alle devozioni di oggi.
In conclusione, siccome è sempre importante imparare  dalle occasioni di confronto (pure se acceso), credo che rimanga per noi fondamentale ricordare che – come scriveva già san Pietro – la nostra fede ha sempre bisogno di dare spazio alla ragione, anche nel mettere in dubbio se quello che avevamo capito è ciò che davvero la Chiesa insegna e Dio ci offre per il nostro cammino.

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