Editoriale
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C’è tanta voglia di socialità

Anche se il mondo è incamminato verso una sempre maggiore interdipendenza, resta pur sempre il fatto che la nostra è un’epoca caratterizzata anche da un forte individualismo...

Parole chiave: Editoriale (381), Stefano Origano (141)

Anche se il mondo è incamminato verso una sempre maggiore interdipendenza, resta pur sempre il fatto che la nostra è un’epoca caratterizzata anche da un forte individualismo, alimentato da un sistema economico che pone il profitto personale come motivazione per ogni attività e sostenuto da un pensiero politico che incoraggia l’autodeterminazione individuale e la libertà personale come beni assoluti. È sotto gli occhi di tutti il progressivo sfilacciamento della vita sociale e della responsabilità reciproca delle persone.

Tuttavia noi siamo stati fin dai primordi animali sociali, continuiamo ad esserlo e così come il vuoto in fisica è uno stato instabile che tende ad essere riempito, altrettanto avviene nelle relazioni umane e sociali: la solitudine che è l’altra faccia dell’individualismo e che rende la convivenza umana sempre più “sazia e disperata” (come ebbe a definire la città di Bologna il card. Biffi), lascia il posto ad altre forme di socialità ispirate ai falsi miti della moda, alla ricerca  narcisistica della visibilità, alla frequentazione delle community su social che di comunità talvolta hanno solo la parvenza o, peggio, a forme di associazionismo malate come quelle delle baby gang e della criminalità organizzata.

Una visione d’insieme è necessaria e necessita più di un semplice agglomerato di persone riunite per uno scopo storico o anche trascendente: l’insieme significa essere un corpo armonico che pensa e agisce riconciliando l’esigenza di realizzare obiettivi e realizzazioni personali, con quella di partecipare e contribuire alla vita sociale nell’ambito della comunità familiare, nazionale, mondiale.

Si parla tanto di cambiamenti, ma forse occorre ripartire da questo: il cambiamento d’atteggiamento dell’individuo che comincia ad agire non guardando solo al proprio interesse personale, ma ponendo sé stesso al servizio del benessere pubblico. In questo le comunità cristiane hanno esperienza millenaria, mutuata da un bagaglio culturale che, lungo i secoli, è stato un faro di civiltà. E possono ancora contare su nuove frecce al proprio arco, formate da quel largo sottobosco di volontariato e carità fatto di cooperazione, associazionismo e cura dei più deboli. Chi governa il Paese e gli organi sovranazionali dovrebbe tenerne conto

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