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Bioetichette

In questi giorni sulle questioni etiche ed in particolare su quelle che riguardano temi di biopolitica e biodiritto si sta scatenando un pandemonio. Mi viene quasi da dire un’iradiddio. Vuoi per vicende che invece del silenzio e del rispetto che meritano (la storia del dj Fabo) vengono strumentalizzate facendone un caso prima mediatico, poi politico e infine giuridico...

Parole chiave: Bioetichette (1), Etica (5), Editoriale (380), Renzo Beghini (62)

In questi giorni sulle questioni etiche ed in particolare su quelle che riguardano temi di biopolitica e biodiritto si sta scatenando un pandemonio. Mi viene quasi da dire un’iradiddio. Vuoi per vicende che invece del silenzio e del rispetto che meritano (la storia del dj Fabo) vengono strumentalizzate facendone un caso prima mediatico, poi politico e infine giuridico. Giusto giusto quando alla Camera si sta discutendo della legge sull’eutanasia. Ma guarda un po’ quando si dice la coincidenza. È sicuramente casuale!
Vuoi per la libera interpretazione del diritto dei magistrati di Trento che riconoscono la paternità a due gay che hanno comperato due figli con la pratica dell’utero in affitto in Canada. Vuoi per il bando della regione Lazio che ha indetto un concorso per due medici non obiettori di coscienza per garantire il diritto delle donne all’interruzione di gravidanza. Ma soprattutto ciò che fa ribollire sono le mistificazioni che appaiono sui giornali nazionali.
Su La Repubblica del 25 febbraio, Paolo Flores D’Arcais scrive che “in opposizione al concorso della regione Lazio si è scatenata la vandea clericale”. “L’unico modo per assicurare il diritto alle donne a interrompere la gravidanza è l’abrogazione dell’obiezione di coscienza. Già la 194 doveva stabilire che chi sceglie di fare ginecologia (come medico o infermiere) non avrebbe potuto rifiutarsi di praticare aborti”. Il ragionamento a sostegno poi è terrificante.
“Chi non li vuole fare scelga un altro mestiere. Chi decide di fare il poliziotto o il carabiniere sa che dovrà portare armi, e in determinate circostanze usarle. Se la cosa ripugna alla sua coscienza può fare l’impiegato del catasto, il contadino, l’operaio, il filosofo, il giornalista, il prete. Tutte le professioni obbediscono a determinati doveri legali. L’unica soluzione è la coerenza di un’abrogazione dell’obiezione clericale”.
Caro Paolo Flores D’Arcais ma si rende conto di quello che sta dicendo? Si rende conto che portare un figlio in grembo non è come avere una malattia? Si rende conto che compiere un aborto non è proprio come togliere le tonsille, aggiustare una frattura della tibia o fare la pulizia dentale?
Caro Paolo Flores D’Arcais si ricorda quando al liceo il “profe” di filosofia ci spiegava quella tragedia di Sofocle, che prende il nome della figlia di Edipo, “Antigone”? Ricorda che a fronte e contro l’editto del re, una legge dello stato o del despota a dir si voglia, che proibiva la sepoltura del fratello Polinice, Antigone rivendica la libertà delle “leggi non scritte” (le “agrafa nomina”), le leggi morali della coscienza. Ricorda che per salvaguardare la libertà della propria coscienza, Antigone decide di andare contro la legge civile, la legge dello stato e del tiranno, e subirne le conseguenze e quindi il processo e la condanna? E lei mi parla di obbedienza ai doveri legali? Ma se non siamo liberi perché fedeli alla nostra coscienza per cosa lo siamo? E se non obbediamo più alla nostra coscienza a cosa vale la pena obbedire? E poi qualcuno mi racconta che nel nostro Paese non esistono più i nostalgici del fascismo di stato e del comunismo? Ma non raccontiamoci panzane.

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