Condiscepoli di Agostino
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La misericordia infinita di Dio

Agostino, anche per esperienza personale, è convinto che tutto sta sotto il manto della misericordia di Dio: “In verità è grande la misericordia di Dio nei riguardi dei vasi della misericordia, da Lui preparati in vista della gloria...

Parole chiave: La Città di Dio (66), Sant'Agostino (172)

Agostino, anche per esperienza personale, è convinto che tutto sta sotto il manto della misericordia di Dio: “In verità è grande la misericordia di Dio nei riguardi dei vasi della misericordia, da Lui preparati in vista della gloria. Anche verso la prima età dell’uomo, cioè l’infanzia, che sottostà alla carne senza alcuna resistenza. E pure verso la seconda, che si definisce puerizia, età nella quale la ragione ancora non affronta questa battaglia, e soggiace a quasi tutti i piaceri viziosi. In effetti, benché sia capace di parlare e sembri dunque che abbia oltrepassata l’infanzia, ancora in essa l’infermità della mente non è ancora capace del precetto. Se però avrà accolto i sacramenti del Redentore, anche se chiude la vita in quegli anni, essendo trasferito dal potere delle tenebre al regno di Cristo, non solo non è preordinato alle pene eterne, ma dopo la morte non subirà alcuna pena purificatrice. È sufficiente infatti la sola rigenerazione spirituale, perché dopo la morte non danneggi ciò che la generazione carnale ha contratto con la morte” (De civ. Dei, XXI, 16). In ben diversa condizione si trovano coloro che hanno raggiunto l’età della ragione e in particolare gli adulti: “Quando poi si sarà giunti all’età che capisce il precetto e può sottostare al comando della legge, si deve attivare la guerra contro i vizi e agire con determinazione, perché non conduca ai peccati soggetti a dannazione” (Ivi).

Tuttavia, Agostino evidenzia la necessità di impegnarsi nella lotta contro le cattive abitudini, difficili da dominare; specialmente se c’è di mezzo il senso della trasgressione ingenerato dalla proibizione, o la superbia o l’ambizione di sentirsi autosufficienti (Cfr. Ivi). Di fatto, “pochissimi sono di così grande felicità, che proprio fin dall’inizio dell’adolescenza non commettano nessun peccato destinato ad essere punito o in azioni disoneste o in delitti, o nell’errore di qualsiasi nefanda empietà, ma che con grande larghezza di spirito reprimano qualunque cosa li possa dominare con piacere carnale” (Ivi). Provvidenzialmente, precisa Agostino, che ne aveva fatto l’esperienza, “moltissimi, accolto il precetto della legge, dopo essere stati dapprima vinti dai vizi che hanno avuto il sopravvento e dopo essere divenuti suoi trasgressori, ora si rifugiano nella grazia che li soccorre, mediante la quale diventano vincitori, grazie ad un pentimento davvero amaro e ad un combattimento alquanto energico con la mente dapprima sottomessa a Dio e così comandare alla carne” (Ivi). Non resta che lasciarsi giustificare, cioè salvare, da Cristo: “Chiunque pertanto ha forte desiderio di evadere le pene eterne, non solo venga battezzato, ma si lasci anche giustificare da Cristo e così in verità passi dal diavolo a Cristo. Per quanto riguarda le pene purificatrici si pensi che non ce ne sarà nessuna se non prima di quell’ultimo e tremendo giudizio” (Ivi).

Agostino si affida dunque alla misericordia di Dio. Tuttavia, non pensa che la misericordia di Dio raggiunga quanti non si lasciano da essa raggiungere, nell’umiltà. Contrasta dunque la teoria degli origenisti che, con Origene, negano l’eternità delle pene dell’inferno per i dannati, il diavolo e i suoi angeli compresi. Si tratta della cosiddetta apocatastasi, cioè della reintegrazione definitiva: alla fine tutti saranno salvati, grazie alla misericordia di Dio.

Agostino riserva agli origenisti misericordiosi ventuno paragrafi, con i quali pone fine al libro ventunesimo. Si appella “all’autorità della Sacra Scrittura che non inganna nessuno” (De civ. Dei, XXI, 23). Cita Matteo 25: “«Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli»… Andranno questi alla pena eterna e i giusti alla vita eterna”. La Chiesa “non prega per il diavolo e per i suoi angeli… Nel giudizio finale non pregherà per gli uomini destinati a bruciare nel fuoco eterno” (De civ. Dei, XXI, 24.1). Ma perché non si prega per i dannati alla pena eterna? Perché la preghiera per loro non è efficace (Cfr. De civ. Dei, XXI, 24.2).

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