Condiscepoli di Agostino
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La fine della vita è uguale per tutti

Fin dall’inizio del suo capolavoro, La città di Dio, Agostino mette l’uomo di fronte alla sorte comune destinata a tutti gli uomini, di ogni tempo, di ogni razza e nazione...

Parole chiave: Aforismi (46), Sant'Agostino (175)

Fin dall’inizio del suo capolavoro, La città di Dio, Agostino mette l’uomo di fronte alla sorte comune destinata a tutti gli uomini, di ogni tempo, di ogni razza e nazione: la morte, che, al dire del Manzoni di cui celebriamo quest’anno i 150 anni dalla morte (22 maggio 1873), è come una falce che pareggia tutte le erbe del prato. Agostino comincia così un suo famoso aforisma: “La fine della vita rende uguale tanto la vita lunga quanto la vita breve” (De civitate Dei 1,11). Che c’è di strano e sorprendente in questa constatazione? Eppure pochi ci pensano. La cultura dominante cerca il più possibile di rimuoverne il pensiero, come se l’uomo fosse autorizzato a non pensare mai alla morte, mentre i media stessi ogni giorno ci buttano in faccia una valanga di morti, per cause diversissime. Agostino però va oltre. Si domanda se la morte sia cattiva per tutti. Di certo è un male per tutti. Tronca il percorso della vita umana che porta dentro di sé l’istinto a proseguirlo. Se fosse in nostro potere, fino all’infinito. Per tutti è un dramma. Ma quando la morte colpisce chi è più giovane è sempre una tragedia, sia che avvenga per malattia sia che succeda per incidente. Agostino, però, insiste: la morte, che in sé è un male per tutti, è da considerarsi anche cattiva per tutti? Si capisce meglio la domanda quando leggiamo la risposta: “Non si deve ritenere cattiva morte quella che è stata preceduta da una vita buona” (Ivi). Ciò significa che Agostino tiene come criterio di valutazione della conclusione della vita la qualità della vita condotta sulla terra nei pochi o tanti anni. Una vita buona non può essere seguita da una morte cattiva. Perché? Agostino considera tutto sull’orizzonte della fede, che assicura una esistenza, senza fine, dopo il percorso terreno. Ed è esattamente ciò che segue la morte che determina la qualità della morte stessa: “In effetti, non rende cattiva una morte, se non ciò che segue la morte” (Ivi), cioè la morte eterna, che equivale ad inferno. Mentre, se alla morte segue la vita eterna da risorti, da salvati, da vivere come paradiso, allora la morte, pur nel suo essere dramma e croce, è anche un ponte provvidenziale che consente il passaggio alla vita eterna, per la quale è valsa la pena di essere venuti al mondo. In qualsiasi condizione. La morte è dunque uguale in quanto conclusione della vita terrena; ma ha senso molto differente e antitetico nel suo essere il ponte sulla vita oltre il tempo.
† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona

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