Condiscepoli di Agostino
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Il senso del pellegrinaggio

Ogni grande religione prevede e contempla nel suo orizzonte panoramico di manifestazioni religiose il pellegrinaggio. Pensiamo in particolare all’Islam, all’Induismo. Ma soprattutto alla religione ebraica, che proprio sul pellegrinaggio a Gerusalemme ha imperniato parte della sua spiritualità...

Ogni grande religione prevede e contempla nel suo orizzonte panoramico di manifestazioni religiose il pellegrinaggio. Pensiamo in particolare all’Islam, all’Induismo. Ma soprattutto alla religione ebraica, che proprio sul pellegrinaggio a Gerusalemme ha imperniato parte della sua spiritualità. Ci basti fare riferimento a tre Salmi che ci condensano gli ingredienti della spiritualità del pellegrino. Esemplare per ogni forma di pellegrinaggio. In ogni tempo. In particolare nell’Anno Giubilare che per natura richiama il valore del pellegrinaggio come parte significativa, se non proprio del tutto essenziale, dello stesso Anno Giubilare.
Partiamo dal Salmo 122, uno dei quindici Salmi delle cosiddette ascensioni o salite (Salmi 120-134). Il pellegrinaggio comporta tre momenti: la partenza, il viaggio, la destinazione, cioè la meta. Solitamente si dice che il partire è un po’ morire. Il Salmo invece connette la gioia già all’annuncio della partenza: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”». C’è un annuncio della partenza in comitiva. Altro elemento del pellegrinaggio: va compiuto più che da singolo, in comitiva appunto. Dunque, non va ridotto a un fatto privato, ma deve avere carattere comunitario. Quasi una rappresentanza di un intero popolo. Altro aspetto da tener monitorato dall’inizio, ancor prima della partenza fino all’arrivo: la meta! Averla fissa nella mente e nel cuore. E quanto più la meta è significativa, tanto più l’attenzione deve restarvi concentrata. Nel caso specifico, il tempio di Gerusalemme: «Andremo alla casa del Signore». Il vero pellegrinaggio per il credente è soprattutto un pellegrinaggio della mente e del cuore. Il viaggio è direzionato là. Senza distrazioni in tanti luoghi di dispersione. E finalmente, il pellegrino, anzi i pellegrini, sono giunti alle porte della città: «I nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme». I pellegrini restano ammirati della città santa, ben protetta dalle fortificazioni. E finalmente possono unirsi alla preghiera di lode di tanti altri pellegrini e chiedere insieme la pace: «Domandate pace per Gerusalemme […]. “Su di te sia pace!”». La meta è raggiunta. Resta solo da invocare la grazia che ha sospinto i piedi del pellegrino a mettersi in viaggio. Non grazie di poco conto, ma la grazia delle grazie, lo shalòm, la pace, a cominciare dalla pace del cuore e della famiglia.
Questi tratti tipici del pellegrinaggio vengono ribaditi e integrati dal Salmo 42: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio». Nel Salmo 122 si accentuava la gioia. Qui l’anelito a Dio. Un anelito vitale. Corrisponde alla sete. La sete di “vedere il volto di Dio”; dunque c’è un approdo. Per una sosta contemplativa: contemplare il volto di Dio! Ma c’è di mezzo il viaggio, sempre in comitiva: «Avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di lode e di gioia di una moltitudine in festa». Il pellegrinaggio non è una scampagnata o una gita. È fatto di preghiera, di canti di lode a Dio. eppure il salmista porta nel suo cuore tante angosce, soprattutto quella dell’ateismo che lo circonda e lo sfida: «Dov’è il tuo Dio?». Perciò supplica Dio di non dimenticarsi di lui, di non lasciarlo nella tristezza. E conclude con la certezza che Dio è la sua speranza. Tutti tratti da evidenziare in ogni pellegrinaggio.
Infine il Salmo 84. Il pellegrino si sente rinvigorire lungo il percorso. Vede la natura che si risveglia grazie alla prima pioggia, «finché compare davanti a Dio in Sion!». Il Salmista è tutto un tripudio interiore: «Quanto amabili sono le tue dimore, Signore degli eserciti. L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. [...] Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi. […] È meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa». Il pellegrino si identifica con il passero che ha trovato il suo nido. E non vorrebbe più staccarsene. Ripartirà dal tempio, meta del pellegrinaggio, con la certezza che «sole e scudo è il Signore Dio»: lo è nella vita della ferialità. Il salmista è andato a rifocillarsi per essere un credente nella vita di tutti i giorni. Sono salmi di grande attualità.

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