Condiscepoli di Agostino
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Il giudizio universale

Il tema fondamentale del libro ventesimo della Città di Dio è il giudizio di Dio, finale e universale, sull’essere di ogni uomo quale risulta, al termine della sua vita, dai suoi comportamenti e sull’intera storia dell’umanità.

Parole chiave: La città di Dio (66), Sant'Agostino (187), Mons. Giuseppe Zenti (325)

Il tema fondamentale del libro ventesimo della Città di Dio è il giudizio di Dio, finale e universale, sull’essere di ogni uomo quale risulta, al termine della sua vita, dai suoi comportamenti e sull’intera storia dell’umanità.

Volendo porre solide fondamenta all’edificio del suo nuovo libro che sta iniziando, Agostino afferma di volersi attenere rigorosamente alla Sacra Scrittura (Cfr. De civ. Dei, XX, 1.1) e alla sana dottrina espressa nel Credo apostolico, in cui si afferma che “Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti… alla fine dei tempi” (De civ. Dei, XX, 1.2). Certo, quello ultimo non è il solo giudizio espresso da Dio. Dio sempre giudica se i comportamenti umani sono conformi o difformi dalla sua volontà di salvezza (Cfr. Ivi). Che “se nessuno avesse peccato, non senza un giudizio buono e giusto avrebbe mantenuto nell’eterna beatitudine ogni creatura razionale coerente con il suo Signore con assoluta perseveranza” (Ivi). Ecco dunque l’argomento del ventesimo libro: “In questo libro non disputerò dunque dei giudizi primi o intermedi, ma dello stesso giudizio ‘ultimissimo’ (‘novissimo’), quando Cristo verrà dal cielo e giudicherà i vivi e i morti. Appunto questo è chiamato già giorno del giudizio… Allora infatti apparirà soltanto la vera e piena felicità di tutti i buoni, e la degna e somma infelicità di tutti i malvagi” (Ivi).

In vista della vita eterna siamo chiamati ad esercitare la sopportazione: “Ora però impariamo a sopportare con animo sereno i mali che patiscono anche i buoni e a non sopravvalutare i beni che conseguono anche i cattivi. E per questo anche nelle cose nelle quali non appare la giustizia divina è salutare la divina dottrina. Non sappiamo, infatti, con quale giudizio di Dio quella persona buona sia un povero e quella cattiva sia un ricco. Non sappiamo perché goda costui che pensiamo avrebbe dovuto essere tormentato da tristezze per la perdita dei suoi costumi, mentre non sappiamo perché sia nella tristezza quello che una vita lodevole avrebbe dovuto far godere. Non sappiamo perché l’innocente esca dal giudizio non soltanto non vendicato ma anche condannato o oppresso dall’iniquità del giudice o distrutto da falsi testimoni, al contrario lo scellerato suo avversario ne salta fuori non solo impunito ma anche vendicato. Non sappiamo perché l’empio sia valutato ottimamente, il pio si consumi nel languore. Non sappiamo perché sanissimi giovani si diano ai furti e coloro che da bambini nemmeno con la parola poterono ledere qualcuno siano afflitti dalle diverse atrocità di malattie. Non sappiamo perché colui che è utile alle vicende umane sia rapito da morte prematura e chi sembra che non avrebbe nemmeno dovuto nascere viva oltre molto a lungo. Non sappiamo perché chi è pieno di crimini sia glorificato con onori e le tenebre dell’ignobiltà nascondano gli uomini senza colpa. E tutte le altre situazioni che uno raccoglie, chi le enumera?… Allora (nel giudizio) anche questo si manifesterà: quanto con giusto giudizio di Dio accada che ora così tanti e quasi tutti i giusti giudizi di Dio siano nascosti ai sensi e alle menti dei mortali, benché in questa cosa alla fede dei pii non sia nascosto il fatto che ciò che è nascosto è giusto” (De civ. Dei, XX, 2).

Evocando il famoso testo del Qoelet, in cui l’autore, dalla tradizione ritenuto Salomone, così si esprime: ‘Vanità delle vanità, tutto è vanità’ (Qo1,2), Agostino, su quel calco, riporta alla memoria “i travagli e gli errori di questa vita e gli sbagli evanescenti compiuti nel frattempo, dove nulla di solido, nulla di stabile viene ritenuto” (De civ. Dei, XX,3). Purtroppo, un’unica sorte tocca a tutti, ai buoni e ai cattivi (Cfr. Ivi), anzi spesso succede che “anche i buoni subiscono i mali, come se fossero malvagi, e i malvagi, come se fossero buoni, ottengono i beni” (Ivi). E concludendo la citazione di Qoelet, Agostino invita a prepararsi “in vista del futuro giudizio, mediante il quale vi saranno per i buoni i beni e per i malvagi i mali, che resteranno senza fine” (Ivi).

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