Condiscepoli di Agostino
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Da Abramo fino al diluvio universale

Dopo aver rievocato il fatto che agli inizi esistevano soltanto tre uomini maschi dopo l’uccisione di Abele (Adamo, Caino e il figlio Enoch), Agostino precisa che l’autore sacro, attraverso una serie di successioni, ha voluto condurre l’umanità fino ad Abramo e di seguito fino alla città il cui regno era eterno e il cui re e fondatore era Cristo

Parole chiave: Sant'Agostino (175), Mons. Giuseppe Zenti (310), La Città di Dio (66)

Dopo aver rievocato il fatto che agli inizi esistevano soltanto tre uomini maschi dopo l’uccisione di Abele (Adamo, Caino e il figlio Enoch), Agostino precisa che l’autore sacro, attraverso una serie di successioni, ha voluto condurre l’umanità fino ad Abramo e di seguito fino alla città il cui regno era eterno e il cui re e fondatore era Cristo: “Il proposito di quello scrittore, mediante il quale lo Spirito Santo così agiva, fu quello di pervenire fino ad Abramo attraverso le successioni di generazioni certe propagate da un solo uomo (Adamo). E quindi dal suo seme fino al popolo di Dio, nel quale, pur distinto da tutte le altre popolazioni, sarebbero prefigurate e preannunciate tutte le cose, che si prevedeva nello Spirito che sarebbero avvenute nei confronti della città, il cui regno sarà eterno e nei confronti del suo re e fondatore in persona, Cristo” (De civ. Dei, XV, 8.1). Agostino non vuole mai perdere d’occhio la simultaneità parallela delle due città, mosso da un preciso obiettivo: evidenziare la superiorità della città di Dio su quella terrena: “così che non si taccia dell’altra società degli uomini, che denominiamo città terrena, per quanto si dovesse ricordare sufficientemente, affinché ne sia rischiarata la città di Dio anche nel confronto con la sua avversaria” (Ivi). In ogni caso fu opera di Dio aver ispirato all’autore sacro di differenziare le due genealogie, destinate comunque a vivere insieme: “da una parte quella degli uomini, cioè quella di coloro che vivevano secondo l’uomo, dall’altra quella dei figli di Dio, cioè degli uomini che vivevano secondo Dio” (Ivi).
Le generazioni vivevano intrecciate insieme fino al diluvio, dove di ambedue le società si narra la separazione e la vita insieme. Evidentemente la separazione, poiché vengono menzionate separatamente le generazioni di ambedue, una del fratricida Caino, l’altra invece di colui che è chiamato Seth, nato per certo anch’egli da Adamo al posto di quello che il fratello (Caino) uccise” (Ivi). A questo punto, introducendo il tema della città fondata da Caino, Agostino inserisce la definizione di città, eco di quella di Cicerone: “altro non è se non una moltitudine di uomini collegata da un certo vincolo di società”.  Purtroppo anche i buoni hanno traviato. Perciò tutti furono distrutti dal diluvio, eccetto Noè, “l’unico uomo giusto” (Ivi) assieme alla moglie, i tre figli e le rispettive nuore. Solamente queste otto persone scamparono dalla devastazione, grazie all’arca (Cfr. Ivi).
Agostino affronta l’argomento del diluvio, tra fatti e allegorie. Le questioni affrontate sono indubbiamente complesse e per noi non sempre di immediata comprensione. Riparte dal libero arbitrio degli uomini di ambedue le città. L’avvenenza seducente delle donne intaccò anche i figli della città di Dio che se ne lasciarono avvincere (Cfr. De civ. Dei, XV, 22), decadendo nella moralità e abbandonando la religione: “In tal modo, la bellezza del corpo, certamente fatto da Dio, ma, in quanto carnale, soggetto al tempo, bene infimo, viene amata male, lasciando posposto Dio, bene eterno, spirituale sempiterno, come accade quando, abbandonata la giustizia, anche l’oro viene amato dagli avari, non per peccato dell’oro, ma dell’uomo. Così è di ogni creatura. Essendo buona, può essere amata bene e male: bene cioè nel rispetto dell’ordine, male nella violazione dell’ordine” (Ivi). Certo, osserva Agostino, se Dio è amato al di sopra di tutto, non c’è spazio per l’amore cattivo. E qui, con il suo abituale colpo di genio, dopo aver affermato che anche “l’amore si deve amare ordinatamente” (Ivi), in quanto mira all’oggetto vero e assoluto dell’amore che è Dio, con un aforisma dei suoi dà la definizione della virtù: “l’ordine dell’amore”, o, più semplicemente, “amore ordinato”, che sa stare al proprio posto.

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