Commento al Vangelo domenicale
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Lo Spirito Santo ci fa vivere

Giovanni 15,26-27; 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Parole chiave: Vangelo della domenica (289)

È la festa di Pentecoste, giorno di grazia, in cui i discepoli ricevono lo Spirito che dona la vera libertà, che scuote dalla fatica, che apre alla vita e rende veri testimoni dell’amore del Padre. Lo Spirito Santo ci fa vivere. Dio non vuole che l’uomo esista in funzione di Lui, ma che viva di Lui. I discepoli, certo, non hanno chiaro quale sia la loro missione: sono riuniti, impauriti e attendono risposte che spieghino loro cosa fare, dove andare. Essi, pur avendo incontrato Gesù risorto, erano più o meno, come nei giorni della passione, uomini impauriti e decisamente in difficoltà. Ed ecco il momento tanto atteso: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”; la discesa dello Spirito Santo dona ai discepoli la verità, quella che libera dal dubbio, dall’incertezza, dal pensiero di non essere sulla strada giusta, perché “non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. La Pentecoste è il momento del rinnovamento dell’uomo, evento centrale per comprenderci e per comprendere la Chiesa di cui ciascuno di noi è parte viva.
Gli evangelisti ci rappresentano i discepoli come un gruppo di persone che ancora non trovano la forza di essere in mezzo al popolo con la consapevolezza della loro missione; faticano ad interiorizzare la certezza di annunciare la salvezza portata da Cristo e testimoniata con la sua morte e risurrezione. Un aspetto ci apre il cuore: con la discesa dello Spirito del Signore, come Paolo esprime nella seconda lettera ai Corinti: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è la libertà”, il Signore ci rende liberi. Dio è fautore e garante della libertà, Egli libera l’uomo dall’oppressione e dona la gioia di essere se stessi fino in fondo. L’esperienza che siamo chiamati a vivere con la Pentecoste è la gioia: gioia e conforto di sapere che Gesù è con noi sempre e in questa vicinanza noi siamo accettati, rinnovati e possiamo, dentro la nostra semplicità con le nostre possibilità, essere strumenti perché tanti incontrino Cristo. È un passaggio importante, spesso difficile da spiegare in particolare ai giovani. C’è l’impressione che Dio costringa, obblighi, che la legge del Vangelo, sia un insieme di prescrizioni che implicano rinuncia e divieti. La difficoltà è proprio quella di spiegare, che in realtà è l’esatto contrario; che l’amore di Dio, la Sua parola, libera da costrizioni, rende il nostro agire quotidiano espressione della gioia del cuore, segno della voglia di amare, di testimoniare l’attaccamento alla vita, e di stare nel mondo come persone vive. È proprio questa la differenza tra una vita costretta dalla fatica dell’interesse umano, e quella gioiosa che esprime l’amore di Dio per ogni uomo e donna: la libertà di essere sempre se stessi, in ogni momento e la consapevolezza di un Padre che è misericordia infinità. Nella discesa dello Spirito Santo, i discepoli trovano la forza di liberarsi dal fardello del giudizio umano, della paura del “cosa dire” e “cosa fare”, e sentono la serenità interiore che consente loro di esprimere la gioia che hanno nel cuore. Se tanti giovani e non, comprendessero il senso vero e profondo della Parola che libera, allora la nostra società troverebbe la forza di contrastare il dilagare dell’indifferenza che ci circonda e il coraggio di combattere il degrado di una società che ha perso i contorni della solidarietà e dell’accoglienza. Allora si realizzerebbero le parole espresse nella prima lettura: “Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi” (At 2,4). Lo Spirito di Dio si rivolge a quella parte profonda che è in ciascuno e che viene prima di tutte le divisioni di nazione, ricchezza, cultura, età e religione. È la forza dello Spirito che supera le barriere, che crea comunione, che dà forma ad un mondo solidale. La Pentecoste testimonia proprio che, dove lo Spirito di Dio scende, si genera una vera e autentica comunione, che è altra cosa rispetto al fare “sistema”, perché se questo è legato ad un’organizzazione in cui le persone rispondono ad un compito preciso legato al buon funzionamento di un progetto, essere in comunione di Spirito significa donarsi reciprocamente e testimoniare, pur nella diversità delle provenienze, del pensiero, della cultura, dell’estrazione sociale, il desiderio di costruire una Chiesa nel nome di Gesù, una comunità che si ama e diventa accogliente. La comunione non annulla la diversità. C’è bisogno di una Chiesa che si scuota e che combatta i particolarismi ciechi e violenti, in cui allo spirito dell’individualismo, subentri lo Spirito di comunione: “Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia, a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche contro corrente” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 259).

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