Commento al Vangelo domenicale
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L’assoluta gratuità di un amore che va oltre la reciprocità

Giovanni 15,9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Parole chiave: VI di Pasqua (1), Vangelo (421)
L’assoluta gratuità  di un amore che va oltre la reciprocità

Il brano del vangelo di questa sesta domenica di Pasqua (Gv 15,9-17) è la prosecuzione del testo proclamato domenica scorsa. Il contesto è, quindi, ancora quello dei discorsi di addio tenutisi durante l’ultima cena descritta nel quarto vangelo. Abbandonato l’ambito agricolo, in cui è emersa la stretta relazione esistente tra la vite e i tralci, ora Giovanni presenta il legame che unisce Gesù e i suoi facendo riferimento all’amore.
Quello dell’amore è uno dei temi caratteristici dell’ultimo vangelo e in tutto il Nuovo Testamento è questo il brano in cui il termine agape (amore) e il relativo verbo vengono ripetuti con la più alta frequenza. L’amore di cui parla Giovanni è originato da Dio e da questi scende verso gli uomini tramite Gesù. Il comandamento dell’amore racchiude anche un insegnamento sulla capacità di amare che dovrebbe distinguere ciò che sta alla base e motiva l’agire del cristiano. Il Nazareno ai suoi che lo ascoltano dice: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». Forse l’abitudine di sentire questa affermazione può portare ad andare oltre, ma è lecito chiedersi perché Gesù non dica “come il Padre ha amato me, così io ho amato Lui”; oppure, nel momento in cui parla del suo sentimento nei confronti dei discepoli, perché non affermi “amatevi gli uni gli altri così come amate me”.  
Attualmente quando si discute di amore si giunge sovente a parlare anche di reciprocità. Ebbene, nel testo evangelico di oggi, il Maestro attesta chiaramente che l’amore cui Lui fa riferimento va ben oltre: non si tratta di uno scambio tra amato e amante che si autoalimenta. L’amore di Dio per suo Figlio è lo stesso con cui Gesù ama i suoi discepoli, i quali a loro volta sono chiamati a riversarlo sugli altri dando vita ad una sorta di cascata che nasce e si alimenta dall’unica fonte. Pensare all’amore essenzialmente in ottica di reciprocità significa correre il rischio di pretendere qualcosa in cambio, mentre la via che indica il Vangelo di oggi è quella dell’assoluta gratuità. Come immaginare, altrimenti, la possibilità di amare anche i nemici? I cristiani sono costitutivamente chiamati ad andare oltre, a spingersi nell’amore più in là dei consueti confini perché il Nazareno ha testimoniato un amore che si dilata fino a raggiungere tutti.
«Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Cristo esorta i discepoli a restare saldi nel realizzare la volontà del Padre – che è anche la sua – e i suoi comandamenti. Gesù non chiede di essere amato come Lui ha fatto, non pretende che il suo amore gli venga in qualche maniera restituito. La risposta al suo amore è la possibilità che questo sentimento venga rivolto agli altri. Chiunque si senta oggetto dell’amore gratuito di Dio è chiamato a rispondere amando l’altro. Cercare il bene del prossimo, spendere la vita per Lui è il modo per restare nell’amore di Gesù: su questo ciascuno si vedrà valutato.
In questo passo del vangelo il Maestro chiama coloro che costituiscono la sua cerchia, amici. A onore del vero nel contesto biblico e giudaico la contrapposizione tra amici e servi non è così marcata come appare al lettore contemporaneo. Più volte, infatti, l’appellativo servo, così come amico, sta ad indicare un uomo di fiducia, fedele e giusto. In questo contesto, però, ciò che si desidera sottolineare è la distanza che contraddistingue le due condizioni. Il servo è che colui che non conosce come agisce il padrone e il perché delle azioni che gli vengono richieste; non essendo libero non vive una reale appartenenza alla casa del suo signore, il suo restare non è frutto di una decisione consapevole, bensì di una costrizione. L’amico, invece, vive un legame intenso, intimo con colui che lo ama; condivide i suoi pensieri e conosce le sue intenzioni. La relazione con l’amico è libera e disinteressata. Quando un amico persevera è perché ha deciso scientemente di restare: non a caso nel vangelo di Giovanni l’unico discepolo che rimane ai piedi della croce è quello amato. Essere amici del Signore non significa arroccarsi dietro l’appartenenza ecclesiale o alcune prassi liturgiche, ma vivere primariamente una relazione con Dio, un’amicizia autentica la quale può permettere di conciliare l’amore con l’obbedienza. Farsi docili e vivere il comandamento dell’amore è ciò che consente di giungere a realizzare l’impensabile: amare ciò che non è amabile, ciò che viviamo come nemico e portatore di male.
La tentazione che sovente può cogliere è quella di pensare che un generico desiderio di Dio o amore verso di Lui sia quanto viene chiesto ad un discepolo di Cristo; invece, il Vangelo di questa domenica afferma con chiarezza che chi si mette alla sequela di Gesù è chiamato a realizzare il comandamento dell’amore e a viverlo nella concretezza perché, come ribadisce l’evangelista Giovanni “se uno dice ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).

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