Commento al Vangelo domenicale
stampa

Amare Cristo comporta amare il prossimo

Giovanni 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Come nel Vangelo di domenica scorsa anche in quello della quinta domenica del tempo di Pasqua, l’evangelista Giovanni ci presenta l’unione spirituale di Dio con il Figlio e la gloria della manifestazione del Figlio nel Padre. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30) recitava il Vangelo di domenica scorsa; “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui”, ci racconta il Vangelo odierno. La manifestazione gloriosa di Cristo, risorto in mezzo a noi, rivela il vero volto del Padre e ci concretizza il Suo amore per ogni uomo. Nella rivelazione di Dio Padre, Gesù Cristo è glorificato e ci indica la strada per il Regno. È in questa dimensione di fede e di vita concreta che ciascuno di noi è chiamato a percorrere il proprio cammino di santità, attraverso la via dell’amore, della carità fraterna, dell’accoglienza reciproca. C’è un segno distintivo che accompagna la vita di un discepolo di Cristo. C’è un “logo” che distingue il discepolo di Cristo da ogni altro uomo che si muove nel mondo: un “marchio” che rende il discepolo di Cristo riconoscibile nella storia della vita. E questo segno evidente è la parola “amore”: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Vengono alla mente le parole di Paolo di Tarso nell’inno all’amore: “E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (1Cor 13,2). Ciò che caratterizza la vita di un vero discepolo di Cristo non è la scienza, la conoscenza, l’industriosità, l’intelligenza, la sagacia, la forza di volontà...; è l’amore, la carità, l’accoglienza reciproca, l’essere segno tangibile di bene l’uno nei confronti dell’altro. Gesù dà il comandamento dell’amore, dopo averlo reso visibile nei gesti, nelle parole, nell’amore fino alla fine. Far conoscere Gesù, passa dall’autenticità e dalla credibilità della nostra vita. Oggi soffro vedendo al Brennero i lavori per la barriera anti profughi: filo spinato che impedisce il passaggio ai nostri fratelli. Oliviero Forti, responsabile del settore immigrazione di Caritas Italiana e Caritas Europa, spiega che il Nord dell’Europa è diventato un territorio “respingente” e si avvale dei Paesi che si trovano sulla rotta balcanica. Questi Paesi il 18 febbraio scorso si sono incontrati attraverso i loro ministri dell’interno, per mettere a punto una strategia di chiusura. Continua Oliviero Forti: «Ora bisogna solo capire da che parte si vuole stare. Se si vuole affrontare in maniera coordinata e seria questa emergenza o se ci si vuole rinchiudere nei propri interessi nazionali e non dare alcuna risposta, ma questo causerà una vera e propria emergenza umanitaria» (intervista a Radio Vaticana). Il comandamento che il Signore ci offre in questa domenica (“che vi amiate gli uni gli altri” contrasta con la realtà dei fatti. I cristiani sono chiamati a far sentire la loro voce, ad impegnarsi affinché questo comandamento possa diventare vero stile di vita, come il Santo Padre con forza e costanza invita a fare: “La mia preghiera e anche la vostra ha sempre presente il dramma dei profughi che sfuggono da guerre e da altre situazioni disumane... Una risposta corale può essere efficace e distribuire equamente i pezzi. Per questo occorre puntare con decisione e senza riserve sui negoziati” (Papa Francesco). Amare i fratelli è la prova decisiva che si è vivi: al contrario chiudere le frontiere significa chiudere il cuore e vivere nell’egoismo che è morte.
Mi ha sempre colpito la modalità con cui Gesù invita ad amare: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Ci si aspetterebbe, a fronte di quel “Come io vi ho amato”, l’invito: “anche voi amate me”. E invece l’invito è quello di amarci “gli uni gli altri”. Per amare Cristo ed essere uniti al Padre la via è quella dell’amore reciproco. Nell’amore di Gesù vi è una dimensione di gratuità alla quale tutti noi siamo chiamati a conformarci. L’amore di Gesù è dinamico, non “accaparra” ma, al contrario, spinge verso il fratello. Per amare Cristo diventa naturale amare il prossimo. Ecco perché non è coerente per un cristiano chiudere il proprio cuore all’accoglienza, per la paura che i fratelli possano usurpare il territorio ed intaccare il benessere raggiunto. L’amore dei discepoli deve tendere ad una reciprocità che si apre all’universalità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”.

Tutti i diritti riservati
Amare Cristo comporta amare il prossimo
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.