Commento al Vangelo domenicale
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Con gli occhi ben aperti preparati a una venuta certa

Marco 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Parole chiave: Vangelo della Domenica (275), I Domenica di Avvento (3)
Con gli occhi ben aperti preparati a una venuta certa

Inizia il tempo di Avvento e in questa domenica viene letta l’ultima parte del discorso escatologico tratta dal Vangelo secondo Marco. All’inizio del capitolo tredicesimo Gesù rivolge le sue parole a Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, ossia i primi quattro discepoli che ha chiamato con sé; l’esortazione finale a vegliare, invece, è destinata a un uditorio ben più ampio, che giunge a comprendere tutti i componenti delle comunità cristiane e quanti si accingono a leggere il Vangelo (“quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!” Mc 13,37).

Gesù narra in forma parabolica la vicenda di un uomo che, dovendo assentarsi da casa per un tempo che si deduce sarà piuttosto lungo, affida i suoi beni ai servi e incarica il portiere di essere vigile. Siccome egli tornerà, ma non è dato sapere quando, occorre vegliare. Lungo il suo svolgersi, il racconto prosegue in maniera desueta generalizzando il mandato del portiere dal contesto della parabola alla realtà degli uditori del discorso.

Non è difficile scorgere tra le righe di questo brano, in filigrana, il riferimento alla vicenda di Gesù che al termine della sua esistenza terrena lascia la sua casa, la sua comunità affidandola alle cure e alla responsabilità dei discepoli chiamati a svolgere ciascuno il proprio compito nell’attesa del suo ritorno. Anche i riferimenti temporali alle quattro veglie in cui i Romani erano soliti suddividere la notte non sono casuali se messi in relazione con la passione: il tempo della sera rimanda alla consegna di Gesù da parte di Giuda, la mezzanotte al momento in cui il sommo sacerdote interroga il Nazareno, il canto del gallo a quando Pietro rinnega il Maestro, il mattino all’ora in cui avviene la consegna a Pilato.

Le parole del Vangelo attestano che chiunque scelga di credere fermamente nel ritorno glorioso del Signore, sebbene ignori quando ciò avverrà, vive come condizione necessaria quella della veglia. Vigilare, vegliare non sono termini da intendere letteralmente attribuendo ad essi solo il significato di non dormire, ma si deve cogliere la loro valenza metaforica. Nel mondo giudaico e in ambito anticotestamentario l’esortazione alla veglia non è disgiunta dalla simbologia legata alla notte. La notte è il momento in cui è facile lasciarsi sopraffare dalla stanchezza fisica e spirituale; è il tempo in cui, non potendo vedere con chiarezza, diviene ancora più necessario tenere gli occhi aperti ed essere pronti. La notte rappresenta il buio, la tenebra che avvolge certe situazioni storiche, civili, comunitarie o personali particolarmente complesse e ingarbugliate in mezzo alle quali si ha la sensazione di non sapere dove andare perché manca la luce. In queste notti interiori o collettive il cristiano è chiamato a vincere la pigrizia, a non lasciarsi scoraggiare dal buio che avvolge il suo presente, ma ad acuire lo sguardo della fede per cogliere i segni della presenza del Signore in attesa della sua venuta definitiva. L’avvento di Dio non elimina il buio e la tenebra che ciascuno può trovarsi a vivere, ma li abita e invita tutti a scovarlo nella fatica della quotidianità.

La traduzione della Cei sceglie l’imperativo “fate attenzione”, ma letteralmente nel testo è scritto “guardate”, ossia tenete gli occhi ben aperti – non a caso nel testo latino è tradotto videte –. L’esortazione contenuta nelle parole di Gesù è, quindi, un invito veemente a cercare di vedere nel buio, ad essere attenti e vigili, a prepararsi ad una venuta certa sebbene non si conosca il momento in cui avverrà. Forse, si potrebbe obiettare che una tale dimensione di incertezza non sia veramente sostenibile per un uomo; forse ci si potrebbe domandare se questa attesa che si protrae da più di duemila anni abbia ancora un significato. In verità, se si riflette, si converrà che l’uomo è colui che per definizione abita questa mancanza di controllo sul tempo: egli non sa quando morirà sebbene sappia che ciò avverrà prima o poi.

Ecco perché, anche in virtù di questa consapevolezza, ogni cristiano è chiamato a vivere il presente come l’unico tempo in cui può cercare di realizzare il Vangelo e il suo appello all’amore. Imparare ad essere vigilanti insegna la capacità del saggio di dare senso ad ogni giorno, come se fosse l’ultimo concesso in questo mondo. Colui che sa vegliare è come la sentinella, alla quale – in quanto esperta della notte e profonda conoscitrice del buio come anche dei primi segni dell’alba – viene rivolta la domanda “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21,11). Cerchiamo la luce nel buio e che sia un buon Avvento davvero.

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