Una giornata particolare
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Anche lo squash ha il suo momento d’oro nel ricordo di una vittima dell’11 settembre

Può strappare una risata il fatto che ogni anno si celebri la Giornata mondiale dello squash (nel 2019 è il 12 ottobre). D’altronde è uno sport che a prima vista può apparire insieme nobile e buffo: racchette e palline del tutto particolari, l’obbligo di tirare contro le pareti (un sogno per i baby calciatori!). Sicuramente la risata iniziale si smorza se si viene a conoscere che questa Giornata è stata ideata in memoria di Derek O. Sword, vittima dell’attacco alle Torri Gemelle...

Parole chiave: Squash (1), 11 Settembre (1), Derek O. Sword (1), Una giornata particolare (117), Luca Passarini (95)

Può strappare una risata il fatto che ogni anno si celebri la Giornata mondiale dello squash (nel 2019 è il 12 ottobre). D’altronde è uno sport che a prima vista può apparire insieme nobile e buffo: racchette e palline del tutto particolari, l’obbligo di tirare contro le pareti (un sogno per i baby calciatori!). Sicuramente la risata iniziale si smorza se si viene a conoscere che questa Giornata è stata ideata in memoria di Derek O. Sword, vittima dell’attacco alle Torri Gemelle.
Da ragazzo era una promessa del tennis in Scozia, poi il trasferimento a New York per lavoro gli fece conoscere lo squash, e con esso successi, amici e la fidanzata Maureen Sullivan, farmacista, con cui aveva già fissato la data del matrimonio. Martedì 11 settembre 2001 era al lavoro all’89° piano della torre sud del World Trade Center. Dopo lo schianto del primo aereo (sulla torre nord) chiamò la fidanzata e i genitori per rassicurarli. Dopo il secondo attacco (proprio alla torre sud) richiamò la fidanzata per avvisare della situazione, delle fiamme al World Trade Center, delle sue condizioni ottime e della sicura evacuazione.
Furono le sue ultime parole, poi il silenzio. Derek aveva 29 anni, un carattere allegro e modi da gentiluomo. Il fratello gemello, Alan, nella commemorazione funebre sottolineò come la sua fosse stata una vita breve ma fruttuosa, segnata da uno sport – lo squash, appunto – che «non ha senso» (ironia british di un ex tennista). Nella stessa occasione, l’amico Alan Kanders, membro come lui della squadra di squash del New York Athletic Club, raccontò un episodio che dice molto del legame di Derek con questo sport.
Nell’estate del 2000 con alcuni altri amici, dopo l’ennesima partita a squash stavano andando a vedere un incontro di baseball. Un poliziotto li fermò perché stavano aprendo delle lattine di birra in pubblico – reato punibile con una multa salata, se non peggio – e chiese loro un documento d’identità. Derek andò nel panico perché non ne aveva nemmeno uno!
Dopo un po’ di ricerche disperate (che rischiavano di far perdere la partita) tirò fuori il tesserino da gioco (che il poliziotto si fece bastare): ancora una volta fu questo sport a dargli una identità e una “vita americana”. Non male per un gioco che, secondo la tradizione, nacque dai detenuti delle carceri londinesi nell’Ottocento. Dalle peggiori prigioni passò in breve nelle più esclusive università del Regno Unito.
In Italia arrivò negli anni Settanta del secolo scorso, considerato (anche per l’influenza dei film americani) come un passatempo alla moda, riservato a una élite ristretta; o al massimo un’alternativa per chi non aveva avuto fortuna con il più famoso tennis. Oggi è in grande diffusione e gli auguriamo ogni fortuna, così come a tutti quegli sport banalmente e fastidiosamente chiamati “minori”.
Perché, in fin dei conti, la vita è un po’ come lo squash: imprevisti, possibilità e spazi limitati, ritmi vorticosi, ma sicuramente mai da vivere da soli. Forse proprio per questo piaceva così tanto a Derek.

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