Riscoprire il Padre nostro
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Le tre invocazioni al Padre

Le tre invocazioni al Padre, contenute nella prima parte del Padre nostro, non sono in favore di Dio, ma a vantaggio nostro. A cominciare dalla prima.

Parole chiave: Padre Nostro (3), Mons. Giuseppe Zenti (325), Vescovo di Verona (247)

Le tre invocazioni al Padre, contenute nella prima parte del Padre nostro, non sono in favore di Dio, ma a vantaggio nostro. A cominciare dalla prima.

Sia santificato il tuo nome
Il termine “nome” sta ad indicare l’intera realtà di Dio, la totalità del suo essere. Il termine “santo”, in lingua greca aghios, evoca il senso della non contaminazione di Dio con la terra. In Lui non vi è alcun inquinamento di mondanità. Sottende il senso della perfezione assoluta. Come a dire: «Tu sei santo! Noi insieme riconosciamo che sei la perfezione assoluta, la santità. Ci rivolgiamo coralmente a Te, perché Tu ci faccia partecipi della tua santità, che da soli mai potremmo meritare e raggiungere». Tuttavia, la santità di Dio non è solo una sua qualità essenziale. Come precisa sant’Agostino nel trattato sulla Trinità, si concretizza, personificandosi, nello Spirito Santo. Proprio lo Spirito Santo, infatti, nel mistero trinitario ha il compito di trasformare tutto l’essere assoluto (che equivale all’essere di Dio) in amore assoluto verso il Figlio che eternamente genera e, in Lui, verso di noi suoi figli nel Figlio, grazie appunto al dono del suo Spirito, che è Spirito di santità e di santificazione. Di conseguenza, gli chiediamo il dono del Suo Spirito, che da artista divino, ci plasmi sul modello della santità divina. Santità si coniuga con amore. E sono termini interscambiabili. In sintesi, è come se dicessimo al Padre: «Facci il dono del tuo Spirito di amore e di santità!».

Venga il tuo regno
 
La seconda invocazione al Padre l’evangelista Marco la contestualizza: “Il tempo è compiuto. Il regno di Dio è venuto (è in mezzo a voi). Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,14). Si tratta della signoria di Dio che, voglia o non voglia, viene, perché di fatto Dio è il Signore, oltre che creatore, anzi, è signore, padrone e proprietario assoluto, perché creatore. Nel chiedere insieme, coralmente, che venga il suo regno, non gli chiediamo che faccia a se stesso un favore, quello cioè di estendere oltre il suo dominio. Gli chiediamo invece la grazia che questo regno venga in noi, che noi ci lasciamo cioè conquistare da Lui. In altre parole, che Dio sia il Signore della nostra vita. Ma, come la santità di Dio è personificata nello Spirito Santo, anche la regalità e la signoria di Dio è personificata e si identifica sostanzialmente con il Figlio fatto uomo per instaurare e portare a compimento, alla fine della storia il regno da consegnare al Padre (1 Cor 15,25-28). Coincide con l’accoglienza della sua opera di redenzione, del suo mistero pasquale. In ultima analisi, coincide con l’aforisma di Paolo: “Per me il vivere è Cristo… sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Fil 1,21; Gal 2,19-20). La Chiesa è stata istituita per essere sacramento del Regno. E tutta la sua missione mira a propiziare nell’uomo la disponibilità a lasciarsi conquistare dalla signoria di Dio, in Cristo morto e risorto. In definitiva, chiediamo al Padre che ci faccia il dono del suo Figlio.

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
Solo qualche citazione biblica sulla terza invocazione al Padre: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 6,38); “Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 4,34);  “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia, non la mia ma la tua volontà sia fatta” (Lc 22,42); “Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione” (1 Ts 4,3).
Il fare la volontà del Padre non equivale alla disposizione d’animo di “InshAllah”, cioè “se Dio vuole; se Dio ha voluto così!” che è l’equivalente del “non cade foglia che Dio non voglia”, come suona la Sura 6,59 del Corano. Non significa nemmeno: “prendere tutto dalle mani di Dio!”. Molto meglio: metterci nelle mani di Dio nelle prove, da affrontare con Lui, come prega il salmista: “Nelle tue mani, Signore, sono i miei giorni!” (Sal 31,16); o come ha pregato Gesù sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno la mia vita” (Lc 23,46; cfr Sal 31,6). Non tutto ciò che accade è volontà diretta di Dio, come pensavano gli antichi. In gran parte dipende dalle cause seconde, come è la natura, o la libertà o cattiveria, imprudenza e irresponsabilità dell’uomo. Il Padre “permette”, non nel senso che dà il suo consenso, ma che non impedisce, il verificarsi di certi eventi. Il motivo? Perché nella sua sapiente Provvidenza tutto fa concorrere al bene, persino le prove che non manda Lui, ma sono provocate appunto dalle cause seconde, come ad esempio la pandemia. In definitiva, fare la sua volontà vuol dire essere fedeli a Lui in ogni situazione, di cui del resto si prende cura Lui stesso; vivere anche le croci con Lui. Allora, fare la sua volontà è cercare il suo progetto e farlo proprio, come Maria.
“Come in cielo, così anche in terra”: il cielo, con gli angeli fedeli a Dio e tutti i salvati, che vivono in perfetta sintonia con il volere di Dio, sia il paradigma del nostro vivere da credenti nel Padre. La vita cambia di direzione e di volto.

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