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Zemlinsky, la musica e la secessione viennese

Il 150° anniversario della nascita del compositore Alexander von Zemlinsky (Vienna 1871-Larchmont 1942), autore di musica da camera, di drammi musicali e di alcuni capolavori sinfonici, può rappresentare una buona occasione per sintetizzare i caratteri della musica austriaca a cavallo tra i due secoli, di cui questo compositore fu illustre esponente...

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Il 150° anniversario della nascita del compositore Alexander von Zemlinsky (Vienna 1871-Larchmont 1942), autore di musica da camera, di drammi musicali e di alcuni capolavori sinfonici, può rappresentare una buona occasione per sintetizzare i caratteri della musica austriaca a cavallo tra i due secoli, di cui questo compositore fu illustre esponente.

È noto il travaglio che fece nascere la musica seriale dall’atonalismo ad opera di Schönberg, Berg e Webern, come è pure risaputa l’opposizione di Stravinsky o Bartòk alla rivoluzionaria novità viennese. Ma a Vienna è interessante notare la convivenza sostanzialmente serena delle due anime musicali, l’una di rottura radicale, l’altra di cauta conservazione della tradizione classica e romantica. I poli di questa dialettica vanno identificati in Schönberg e nel suo circolo da una parte, in Mahler, Strauss, e appunto Zemlinsky dall’altra, con tutta una serie di compositori eternamente oscillanti fra un polo e l’altro.

L’opposizione, in realtà, fu meno drastica di ciò che normalmente si pensa. Un grande rispetto reciproco fu caratteristico degli artisti rappresentanti le diverse inclinazioni, quando addirittura non ci fu costante amicizia: Zemlinsky fu tra l’altro il maestro di Schönberg, con il quale conservò rapporti di profonda amicizia e colleganza per tutta la vita, anche nell’esilio americano dei due compositori, fuggiti dalla loro patria in quanto ebrei. Di più, la comune ascendenza wagneriana e brahmsiana svela la continuità di una tradizione che a fine ’800 venne considerata, al contrario, opposizione. E proprio la forza cogente della tradizione si rivela il punto comune di produzioni di per sé assai diverse: che subisca una profonda metamorfosi o che ritorni sviluppata ed estremizzata, l’opera di Wagner e Brahms garantisce una matrice comune alle esperienze creative di tutti i musicisti dell’epoca: la diversità affondò le proprie radici nel medesimo terreno.

Recentemente si è cercato di utilizzare il concetto di “Secessione” non solamente per le arti figurative, ma anche per la musica. Kurt Blaukopf ha osservato come la Secessione avesse un carattere eminentemente pragmatico, nato da un’opposizione rispetto alla cultura di Germania: se qui fiorirono poesia e scienze filosofiche, all’Austria spettò il primato della classicità musicale, lascito idiomatico perfetto di un’intera civiltà. Così la tradizione austriaca, fondata sui principi della moderazione, della misura e dell’equilibrio, fu ancora operante in musicisti come Zemlinsky. Si ascolti la sua sublime Sinfonia lirica, op. 18, per orchestra, soprano e baritono solisti: l’intonazione degli ispiratissimi versi di Rabindranath Tagore declinano un panorama sonoro di lussureggiante estetismo, in cui i fantasmi evanescenti di un amore trascorso, della memoria che fa sopravvivere ogni cosa, del sogno come rivelazione di una realtà spirituale superiore prendono forma in un’arte della variazione di straordinaria complessità, tuttavia sempre trasparente, di un lirismo spontaneo o di un espressionismo lacerante che colpiscono al cuore senza necessità di ulteriori mediazioni intellettuali. Il timbro orchestrale, poi, reclama per sé solo lo statuto di parametro fondamentale, come in una pittura sonora, ricca di elementi ornamentali, di sfumature le più sottili e penetranti che determinano l’architettura tanto quanto melodia e armonia. In questo senso, Zemlinsky è uno di quei compositori “minori”, la cui riscoperta riserva sorprese continue di singolare attualità.

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