Libri
stampa

Quante similitudini tra l’attuale pandemia e la “peste manzoniana” del 1630

Francesco Pona
Il gran Contagio di Verona
(a cura di Mario Gecchele)
Casa editrice Mazziana
Verona 2020
pp. 168, euro 15

Quante similitudini tra l’attuale pandemia e la “peste manzoniana” del 1630

In tempi segnati dalla pandemia come quelli che stiamo vivendo, la riedizione di una cronaca della pestilenza che tra il 1629 e il 1633 colpì il Nord della penisola è davvero preziosa. È quanto ha fatto la Casa editrice Mazziana con Il gran Contagio di Verona, opera storica in quattro libri pubblicata nel 1631 da Francesco Pona (1595-1655), “filosofo medico di collegio” e poi “istoriografo” dell’imperatore Ferdinando III. Leggendo il volume, sapientemente curato e introdotto dal prof. Mario Gecchele e corredato di belle immagini, è possibile vedere che, a poco meno di quattro secoli dai fatti narrati, le misure per prevenire la diffusione del contagio in fondo sono le stesse, anche se attuate con modalità differenti: il distanziamento fisico (“il fuggire ogni commercio”), una cura particolare dell’igiene personale e pubblica, la purificazione frequente dell’aria, la sorveglianza alle porte della città (una “zona rossa” ante litteram), l’obbligo di un certificato per potersi spostare, il ricovero dei contagiati al Lazzaretto la cui costruzione era stata completata nel 1628. Certo, oggi se uno viene fermato per strada mentre dovrebbe starsene a casa, si becca soltanto una forte multa (e una denuncia, se positivo al Covid-19), mentre allora se un infetto girava in città si procedeva alla sua fucilazione. E chi nascondeva la malattia, non poteva ricevere l’assoluzione sacramentale.
Secondo Pona – la cui opera potrebbe essere stata una fonte utilizzata dal Manzoni ne I promessi sposi – la pestilenza, inizialmente non riconosciuta come tale, si era sviluppata nell’esercito imperiale che nel 1629 assediò Mantova, e da lì si diffuse velocemente. Era obbligatorio denunciare alle autorità gli infetti; furono chiuse le osterie e i luoghi di ritrovo e proibite le sepolture in città per quanti non disponevano di una propria tomba, così pure in diverse zone si accendevano fuochi purificatori. I medici nell’assistere gli appestati indossavano un abito di tela di lino rivestito da uno strato di cera e sostanze aromatiche e portavano una maschera sul volto.
All’inizio di giugno 1630 si contavano più di 200 morti al giorno ma il picco massimo si registrò a metà luglio con 350. Morirono poveri e ricchi, nobili ed ecclesiastici, compreso il vescovo Alberto Valier, nonostante il suo trasferimento a Venezia. I sacerdoti in servizio in Cattedrale da 170 si ridussero a meno di 20. Quando la pestilenza fu superata, il 15 marzo 1631 una solenne processione attraversò le vie della città, dal Duomo a San Nicolò, passando da Sant’Anastasia e San Fermo.
La “peste manzoniana” del 1630 decimò la popolazione cittadina che passò da 53.533 abitanti a 20.630 e dovettero passare due secoli per tornare ai numeri di prima.

Tutti i diritti riservati
Quante similitudini tra l’attuale pandemia e la “peste manzoniana” del 1630
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento