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La storia di Verona vista dal suo fiume

Giorgio Massignan
L’Adige racconta Verona
Smart Edizioni - Verona 2018
pp. 432 - euro 28

Parole chiave: L'Adige racconta Verona (1), Giorgio Massignan (1), Libro (62), Recensione (25)
La storia di Verona vista dal suo fiume

«Ma ’sto fiume ve piace o nun ve piace? Ci serve o non ci serve?». Con queste parole Armando Feroci, interpretato da Carlo Verdone in Gallo Cedrone, si rivolge agli elettori della Capitale per perorare una delle sue proposte da attuare in caso di elezione a sindaco: la cementificazione del Tevere per farne un’enorme arteria stradale. Giorgio Massignan non avrebbe mai proposto ai veronesi una cosa del genere per l’Adige, né avrebbe chiesto loro un giudizio di valore o di utilità sul secondo fiume più lungo d’Italia. Lo si capisce leggendo L’Adige racconta Verona, tomo di 432 pagine pubblicato per i tipi della Smart Edizioni alla fine del 2018, “la prima storia urbanistica della città dalle origini ai giorni nostri”, come ha scritto Emma Cerpelloni nella presentazione di un volume impreziosito da 223 tra foto e disegni.
Classe 1952, per anni presidente della sezione scaligera di Italia Nostra e dell’Ordine degli Architetti, Massignan traccia di ogni epoca una sintesi storica, dagli Euganei ai Romani, dagli Scaligeri ai Veneziani, dagli Austriaci agli italiani, per raccontare le trasformazioni urbanistiche collegate a particolari eventi, come, ad esempio, la piena dell’Adige del 1882. L’alveo del fiume fu poi ampliato e ripulito e vennero edificati degli argini di difesa, i cosiddetti muraglioni: dal 1887 al 1894 migliaia di lavoratori furono impiegati per realizzare il progetto che interessò tre diverse amministrazioni comunali. Con la costruzione dei muraglioni, Verona subì una radicale trasformazione urbanistica che relegò l’Adige a canale isolato ed estraneo a quel rapporto intimo e complesso fino a quel momento esistente con la città: le vie che portavano al fiume furono interrotte da una cortina di mattoni (vere e proprie barriere aggiuntive) e la parte dell’Adige che attraversava il centro storico cessò di esistere. Il ramo minore che formava l’Isolo a Veronetta (il canale dell’Acqua Morta, così denominato per lo scorrere lento delle sue acque e che in epoca preromana era il ramo principale dell’Adige) fu interrato, cancellando un’isola fluviale urbana che si era formata nell’arco dei secoli; tutti i collegamenti con l’Isolo vennero distrutti.
Iniziò così “quell’inarrestabile processo di degradazione della Verona lungo il fiume, che toccherà i suoi vertici nell’ultimo dopoguerra e nei nostri giorni”, come sostenuto da Renzo Chiarelli, sovrintendente ai beni artistici e storici per il Veneto dal 1977 al 1980. L’Adige si trasforma allora da strumento di interconnessione e di tramite ad elemento di frattura, da centro della vita cittadina a pericolo da evitare.
“La mia città, la mia figlia prediletta, mi ha scacciato e dimenticato”, conclude Massignan dando la parola all’Adige, al quale Tolo da Re dedicò una poesia riportata nelle ultime pagine del volume. Però, finché resterà “anche un solo veronese che si affaccerà dai parapetti dei miei ponti e dei miei argini per contemplare la bellezza naturale e monumentale che sono riuscito a far creare, non sarà tutto perduto”.

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