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Quando si viveva grazie all’Adige

di CECILIA TOMEZZOLI
Un libro ricorda navigazione, mulini, lavandaie, pescatori, cavatori di sabbia...

 

Quando si viveva grazie all’Adige

“Una ricerca di grande spessore e precisione storiografica che ha il merito di illustrare la storia profonda del rapporto tra spazio, mestieri e materiali lungo l’asta dell’Adige”: con questa motivazione, ha vinto la 40ª edizione del premio letterario “Gambrinus Mazzotti”, nella sezione “Artigianato di tradizione”, Arti e mestieri sull’Adige dalle Valli tirolesi all’Adriatico (Cierre edizioni 2021, pp. 535, 29,90 euro) di Giannantonio Conati, che ripercorre (in tutta la sua lunghezza e nei molteplici aspetti che li caratterizzano) i 410 km dell’Adige, a cui si lega la storia di Verona, della sua provincia e delle comunità che nel passato hanno vissuto in simbiosi con il fiume, via di comunicazione fin dai secoli più lontani e fonte primaria di lavoro e prosperità.
Il saggio è frutto delle ricerche più che decennali dell’autore, studioso di storia locale, specie della bassa Valpolicella che, nato dirimpetto all’Adige, a Pescantina dove vive e 25 anni fa ha fondato il Museo etnografico “Lavoro e tradizioni lungo il fiume Adige”, ne ha ripetutamente percorso le rive, traendone stimoli e suggestioni: «L’Adige – dichiara Conati – ha da sempre esercitato un forte ascendente su di me: il suo corso è metafora della stessa vita; nasce da una sorgente al Passo Resia, scorre, cresce e si modifica per abbandonarsi da ultimo al destino infinito del mare. L’argine è un punto privilegiato di esplorazione, di scoperta e di incontri: qui ho raccolto le testimonianze dirette di chi ha vissuto in quel mondo che si è conservato fino ad alcune decine di anni fa».
L’Adige, navigabile per buona parte del corso, era in discesa percorso da barche che seguivano la corrente e da zattere di legno, che salpavano da Bronzolo, poco a sud della confluenza tra il fiume e l’Isarco, e trasportavano materiali e mercanzie provenienti anche dal Nord Europa e dall’Inghilterra; a Verona, scaricate le merci, i tronchi delle zattere venivano tagliati alle Seghe, situate vicino alla chiesa di S. Eufemia, e presso i due canali delle Seghe divisi dalla lingua di terra dell’Isolo, come ci ricorda la toponomastica (vicoletto Seghe S. Eufemia, via Seghe di S. Tomaso). Le imbarcazioni risalivano il fiume anche in senso contrario, trainate da coppie di cavalli e buoi sulla nota strada Alzaia tracciata sulla sinistra idrografica: rispetto alla destra, questa risultava più soleggiata e asciutta e, in prossimità della foce, facilitava il collegamento con la laguna e Venezia, emporio del Mediterraneo orientale, poste sulla stessa sponda.
Oltre che a Verona, fulcro della navigazione fluviale e polo manifatturiero, in provincia i traffici convergevano verso altri centri: tra la Chiusa di Ceraino e la città, si segnalano Pol e Pescantina; a sud, Ronco, Albaredo, Legnago e, nella pianura rodigina, Badia Polesine. Sull’Adige venivano svolte attività commerciali, artigianali e industriali, che utilizzavano la forza cinetica della corrente; lungo tutto il suo corso era un susseguirsi di mulini galleggianti, mentre i mulini terragni e le ruote idrovore, che sollevano l’acqua per irrigare i campi, contraddistinguevano il paesaggio atesino a nord di Verona. Perno del traffico commerciale era Pescantina, dove all’area del piazzale S. Rocco operavano due cantieri navali, Cobelli e Pontara, che costruivano barche adatte alla navigazione fluviale, con la chiglia quasi piatta e il timone laterale, disposto sul fianco che dava sull’acqua: le più antiche erano i burchi, lunghi anche 20-25 metri, e le panciane, versione “moderna” della cosiddetta barca Pescantina, di dimensioni inferiori e basso pescaggio, utilizzate nei tratti da Verona verso settentrione.
«Le attività lavorative che venivano svolte un tempo sull’Adige – continua l’autore – erano componenti fondamentali di un mondo diversificato e operoso: lungo le sue rive venivano eseguite operazioni di ogni tipo. Insieme ai barcaioli e agli zattieri, ai mugnai e ai pescatori, attendevano ai loro compiti tanti altri artigiani e addetti alle mansioni più disparate: tintori, follatori, cavatori di sabbia e ghiaia, maestri d’ascia che costruivano barche e chiatte, carrettieri, facchini, traghettatori e persone che frequentavano le rive per varie faccende quotidiane ora quasi dimenticate». Del brulicante universo che si concentrava sul fiume, significativa è la fotografia scattata nei primi anni del Novecento a Settimo di Pescantina: in corrispondenza di un passo volante, sullo sfondo di ruote idrovore, di una piccola imbarcazione e di un più vicino mulino galleggiante, occupa la scena un traghetto, pronto a imbarcare persone e mezzi di trasporto, mentre lavandare ricurve sull’acqua risciacquano i panni.
Di quel passato permangono tracce, seppur deboli, principalmente nel territorio di Pescantina, come i resti dei canali sopraelevati a Settimo, in proprietà Bertoldi, al Tegnente, a monte di Arcé, o nella frazione di S. Lucia: un mondo che fu sopraffatto dalle profonde trasformazioni avvenute tra Ottocento e Novecento (la costruzione della ferrovia e l’introduzione dell’energia elettrica), ma che le pagine di Conati hanno il pregio di riportare alla luce. 

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