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Lucia che ricostruisce la fine di molti caduti nelle due guerre

di RENZO GASTALDO
Il lavoro di ricerca volontario di una studiosa che dà risposte ai familiari

Lucia che ricostruisce la fine di molti caduti nelle due guerre

È stata una sorpresa anche per lei trovare nel mare magnum dei caduti della Prima Guerra mondiale, i nomi di 19 donne, una delle quali sepolta a Verona. Lucia Zampieri, residente a Lugo, è la ricercatrice di notizie (con attività svolta nelle ore rubate al sonno) sui caduti che sta dando un radicamento familiare e territoriale ai quasi 4mila soldati, i cui resti mortali sono custoditi nel Sacrario Militare presso il Cimitero monumentale di Verona. Sempre lei, da quasi cinque anni a questa parte, è diventata il punto di riferimento di mezza Italia per chi cerca notizie sui caduti e dispersi italiani delle due guerre mondiali. Ogni richiesta inviatale, dopo ricerche accurate nelle evidenze riportate nei registri militari, trova una risposta.
«È vero, un riscontro cerco sempre di darlo sia che esso venga desunto da un elenco o da un registro – spiega Zampieri, ormai soprannominata nell’ambiente “La Lucia degli alpini” –. Nella maggioranza dei casi cercando tra i file e registri cartacei messi resi disponibili dai Comuni, dall’Archivio di Stato, dal sito internet www.onorcaduti.difesa.it del Ministero della Difesa, oppure dal sito www.cadutigrandeguerra.it che riporta i dati delle salme custodite nei sacrari». In molti casi ci sono difformità fra i nomi e le date e in queste situazioni si rendono necessari approfondimenti e ricerche anche complessi. Sono stati oltre tremila i “ricongiungimenti” documentali operati da Lucia Zampieri, che ha incrociato nelle sue ricerche anche, come si diceva, i nominativi di 19 donne e di un sacerdote, quest’ultimo seppellito nel mausoleo veronese. «Il sacerdote si chiamava don Erminio Di Gaspero, nato nel 1888 a Faedis, un paese friulano. Era un tenente cappellano in servizio alla direzione di Sanità militare di Verona che morì di malattia a soli 30 anni a Isola della Scala», precisa Lucia. E le 19 donne? «Sono per la maggioranza infermiere volontarie della Croce Rossa, come nel caso di Giuseppina Orlandi, originaria di Orvieto, che morì di malattia proprio qui a Verona nell’ottobre 1918, pochi giorni prima della conclusione della guerra e i cui resti sono custoditi nel nostro Sacrario, che funziona sotto il coordinamento di Giovanni Governo – spiega ancora la ricercatrice –. L’esempio più fulgido di donna in guerra fu certamente Maria Polzner Mutil, la portatrice carnica perita ne1 1916 sotto il fuoco di un cecchino austriaco, che per il suo sacrificio ottenne la medaglia d’oro al valor militare dalla Presidenza della Repubblica». 
Portatrici, infermiere, ma anche scrivane che si prestavano per stendere lettere per i soldati analfabeti al fronte o facevano le dame di compagnia negli ospedali, questi erano i compiti delle donne in guerra. «Il più delle volte queste donne arrivarono a prestare servizio al fronte sotto la spinta dell’ideale romantico, ma ci volle poco perché si rendessero conto dell’atrocità della guerra e dei sacrifici in termini di vite umane che essa comportava – dice ancora Lucia –. Non si devono dimenticare poi tutte le donne che vissero e sopravvissero alla guerra, tutte coloro che con enormi sacrifici riuscirono a sfamare i figli, a mandare avanti il lavoro coi campi. La maggior parte dei combattenti erano infatti contadini. E quando l’uomo mancò, loro si fecero su le maneghe. La guerra si faceva al fronte, ma, in un certo senso, si combatteva anche a casa».
Si potevano non avere notizie dai soldati per mesi. Non è difficile immaginare il pensiero e la pressione psicologica che dovevano portare. Poi poteva esserci il dolore di quando venivano a sapere che il proprio caro non sarebbe tornato. Qualcuna, del proprio marito, fratello o figlio non ne seppe assolutamente più nulla. Inghiottiti da un buco nero. Inghiottito nel vortice della battaglia è stato anche uno prozio della ricercatrice. Proprio l’esigenza di cercare dove e come fosse scomparso ha spinto, una decina di anni fa, Lucia Zampieri a intraprendere le ricerche su caduti e dispersi.
«In famiglia non ho potuto purtroppo dare una notizia più approfondita oltre al luogo della scomparsa, avvenuta nel corso di una battaglia combattuta dal VI alpini prima di Nikolajewka – riferisce la ricercatrice –. La soddisfazione più grande per chi fa ricerche sui caduti è infatti dare una data, un posto e magari una ricostruzione delle modalità della scomparsa. Questo purtroppo non è sempre possibile, specie a distanza di quasi cento anni dagli avvenimenti e in questi casi ci si trova ad allargare mestamente le braccia nei riguardi di chi ti chiedeva notizie. Comunque gli esiti totalmente negativi delle mie ricerche non superano il 10% e questo mi incoraggia a proseguire».

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