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La quotidianità a Gaza non è solo bombe

Susan Abulhawa
Nel blu tra il cielo e il mare
Feltrinelli 2015
pagg. 331– 16 euro

Parole chiave: Nel blu tra il cielo e il mare (1), Susan Abulhawa (1), Gaza (2), In libreria (40)

Se con il romanzo Ogni mattina a Jenin (Feltrinelli 2011), la scrittrice americana palestinese Susan Abulhawa raccontava la Nakba attraverso una saga familiare ambientata in Cisgiordania, con Nel blu tra il cielo e il mare l’ambientazione si sposta a Gaza ma il fondale del racconto non muta: la vita degli Arabi prima della creazione dello Stato di Israele e la loro vita dopo, narrata sempre attraverso le vicissitudini di tre generazioni di una famiglia palestinese.
Come è noto, il 1948 segna uno spartiacque storico e una ferita ancora aperta: da un lato la creazione dello Stato di Israele che gli israeliani celebrano ogni 14 maggio e dall’altro la Nakba (la Catastrofe) ovvero il grande esodo degli Arabi che abitavano quella terra, che i Palestinesi commemorano il 15 maggio di ogni anno.
Il romanzo si divide in sette capitoli, caratterizzati ciascuno da brevi quadri che restituiscono la vita a Gaza prima del ‘48 fino al 2011 anno che ha visto la scarcerazione di diversi prigionieri palestinesi in cambio del giovane soldato israeliano rapito nel 2006 da Hamas. Il romanzo si apre nella terra di Beit Daras, dove la capostipite di questa saga Nonna Nazmiyeh viene presentata dal narratore (il pronipote Khaled) come “la ragazza più bella di Beit Daras”: un villaggio arabo conquistato da Israele nella guerra del ‘48, che si trova appena a Nord della Striscia di Gaza, un tempo non “spopolato” ma dove generazioni di arabi avevano invece vissuto. Proprio in quel villaggio ha inizio il trauma della famiglia di Umm Mamduh: la figlia maggiore Nazmiyeh viene violentata dai soldati ebrei e l’altra figlia Mariam uccisa. Ciò nonostante Nazmiyeh decide di rimanere in Palestina sebbene debba vivere in uno dei tanti campi profughi che vengono creati e gestiti dall’Unrwa. Il fratello Mamduh, al contrario, se ne va con la moglie prima al Cairo, poi in Kuwait e infine in America dove il figlio Mhammad, che non vuole più saperne della sua identità palestinese, sposa una ispanoamericana da cui nasce la piccola Nur, che un giorno deciderà di “fare ritorno” in Palestina, a Gaza.
Vieni da me / Sarò nel blu / Tra il cielo e il mare, versi di un canto arabo da cui è tratto il titolo del libro che fa da sottofondo all’intera vicenda. Lo intona Mariam mentre sua sorella maggiore Nazmiyeh le dice che devonoandarsene per sfuggire all’esercito israeliano giunto a Beit Daras per conquistare la terra; lo intona la giovane madre Nazmiyeh in riva al mare in attesa dei suoi numerosi figli che sono andati a pescare con il marito Atiyeh; lo sente la sua pro-nipote Nur quando si reca alla casa di Jamal, il dottore sposato di cui si è perdutamente innamorata, che è emigrato in Canada con la moglie per mettere fine allo scandalo suscitato dall’amicizia con lei, la giovane psicologa venuta dall’America; lo intona l’ormai anziana Nazmiyeh sulla spiaggia per festeggiare il ritorno a casa del figlio maggiore Mazen (l’inconsapevole figlio dello stupro) che, divenuto un combattente palestinese, viene scarcerato a seguito allo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.
Un canto che ci restituisce il suono del mare, “tra il cielo e il mare / Dove il tempo si ferma / E noi siamo l’Eternità / Che scorre come un fiume”. Come la voce narrante di Khaled, il giovane pronipote di Nazmiyeh che soffre di epilessia e che un giorno, a seguito del bombardamento israeliano nella scuola dell’Onu, si troverà sospeso tra la vita e la morte, in una sorta di coma che gli consente di sentire ciò che accade intorno a lui ma senza poter comunicare se non con lo sbattere delle palpebre.
Attraverso la voce di Khaled, Susan Abulhawa canta la grande storia di un popolo ma soprattutto le vicende quotidiane, perché a Gaza, ci ricorda Abulhawa, si può morire anche di cancro e non solo di bombe.

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