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La lingua italiana si evolve ma gli errori restano tali

Vera Gheno
Potere alle parole. Perché usarle meglio
Einaudi - Torino 2019
pagg.  176 - Euro 13

La lingua italiana si evolve ma gli errori restano tali

Ve lo ricordate petaloso? L’aggettivo inventato nel 2016 da un bambino di una scuola elementare del Ferrarese, in accostamento alla parola “fiore”. Un “errore bello” secondo la maestra, che intelligentemente aveva incoraggiato l’alunno a scrivere all’Accademia della Crusca per ottenere una consulenza linguistica. Come fa un neologismo a entrare nel vocabolario? La parola, per essere registrata, dev’essere impiegata da un gran numero di persone, fu la risposta. Poteva finire tutto lì, invece l’insegnante postò su Facebook la lettera e in un battibaleno la faccenda diventò virale (con tanto di infuocato dibattito).
Cosa c’insegna questa storia? Le nuove parole possono piacere o meno, ma a decretarne il successo sono i parlanti. Se le persone le usano diffusamente e in modo continuativo – pensiamo al lemma apericena, per dirne uno – i linguisti non possono che constatarne l’impiego, senza pregiudizi. È questo uno dei tanti esempi raccolti in Potere alle parole. Perché usarle meglio, di Vera Gheno, sociolinguista che ha collaborato per vent’anni con la Crusca.
“A me mi”, si dice? Tenetevi forte: dipende. Non si scrive in un contesto sorvegliato (come in un curriculum vitae), ma nulla vieta di esprimersi così in famiglia o tra amici. Le norme, nel tempo, possono cambiare, ci ricorda Gheno. Come potrebbe accadere per l’inflazionato “piuttosto che”: un tempo sinonimo di “invece che”, oggi adoperato in forma disgiuntiva, al posto della “o” (“Possiamo andare in pizzeria piuttosto che al ristorante”).
Diverso, al contrario, è il “pressapochismo linguistico” di chi commette errori per scarsa conoscenza della norma: non è scusato chi scrive un pò accentato invece di un po’ con l’apostrofo, oppure qual’è con l’apostrofo anziché la forma esatta qual è (si tratta di un troncamento). Scivoloni che stonano e a cui prestare attenzione. Cominciando col curare le nostre parole, perché definiscono chi siamo. Come? Leggendo e mantenendo una sana curiosità verso l’italiano, per usarlo al meglio delle nostre competenze. Illudersi di essere a posto dopo la scuola dell’obbligo è ingannevole: si rischia di non comprendere i testi di ogni giorno, dall’esito di un referto medico al verbale di una multa. Viviamo nella società della comunicazione: capire e sapersi esprimere sono cardini fondamentali.    

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